ASS. CULTURALE NO-PROFIT LIBERO GUSTO

lunedì 6 dicembre 2010

Mito sfatato: lo zucchero non neutralizza l’acidità!




Spesso sentiamo dire che aggiungere zucchero comune, saccarosio, ad un alimento dalle spiccate sensazioni acidule ne attenui le stesse.
Che cosa è l'acidità di un alimento? Naturalmente la risposta è scontata: s'intende la presenza di un'elevata concentrazione di acidi nella propria composizione. È una caratteristica intrinseca dell'alimento stesso.
L'acidità libera, cioè la presenza di acidi tali e quali senza alcun legame con altre molecole, è presente in quasi tutti gli alimenti. È la concentrazione, quindi la quantità, e la qualità dell'acido stesso, a determinarne la forza percettiva. Per fare un esempio, il pomodoro presenta una discreta concentrazione di acido citrico e malico. Tali acidi, se in forma libera e in quantità elevata, contribuiscono al sapore acidulo dell'ortaggio. Solitamente, come pratica di cucina, si aggiunge comune zucchero per abbassare tale sensazione durante la cottura. Secondo tale usanza è solito credere che lo zucchero abbassi il tenore di acidità della salsa e quindi modifichi il pH della stessa. Potremmo fare altri esempi come la limonata zuccherata, o l'agrodolce composto di aceto e zucchero. Pur sapendo che il pH delle soluzioni non subisce alcuna alterazione in presenza di zucchero, abbiamo voluto verificare con una prova in laboratorio il comportamento del pH di una soluzione composta da acido acetico e saccarosio, riproducendo le fasi che avvengono in cucina.
Abbiamo versato 10 ml di aceto di vino rosso in una beuta e misurato il suo pH con un piaccametro elettronico, stabilendo il valore di 3.10 a temperatura ambiente di circa 20°C.
Pesiamo una quantità di saccarosio (zucchero comune) pari a 1.12 g e lo aggiungiamo all'aceto. Solubilizzato lo zucchero, controlliamo il pH registrando lo stesso valore, 3.11 alla temperatura di 20°C ca.
Da questa prima prova il pH della soluzione non ha subito cambiamenti rilevanti mantenendosi pressoché invariato.
Aumentiamo la quantità del saccarosio a 5 g nella stessa quantità di aceto, registrando lo stesso pH. Portiamo la soluzione a una temperatura di 50°C per simulare le prime fasi della cottura. Aspettiamo che la temperatura torni naturalmente a quella iniziale di 20°C, poiché sappiamo che la temperatura elevata (calore) influisce sulla Ka della soluzione (Ka = costante di dissociazione acida) sfalsando lievemente il valore che da 3.11 è aumentato fino a un pH 3.49, abbiamo aspettato che la soluzione tornasse a temperatura ambiente rilevando il pH al valore di 3.11.
Aumentiamo la quantità di zucchero a 10 g per 10 ml di aceto e, procedendo come prima, rileviamo il valore del pH invariato di 3,10.
Possiamo affermare che lo zucchero, a qualsiasi concentrazione, non altera il pH di una soluzione acida.
La percezione dell'acidità in presenza di zucchero, per un processo fisiologico ancora sconosciuto, è inferiore. La limonata zuccherata, o l'agrodolce, pertanto, risultano meno acidi non per trasformazioni chimiche ma per esclusive caratteristiche percettive.
Il nostro cervello elabora i segnali trasmessi dalle papille gustative in tali termini.

giovedì 25 novembre 2010

Five a Day – i cinque colori della vita



Le aspettative di vita sono cambiate negli ultimi anni raggiungendo il traguardo dei 76,8 anni per l'uomo e 82,5 per la donna. Dalla tabella si può osservare quanto sia aumentata l'aspettativa di vita nell'intervallo di due anni (2005-2007), ma i valori sono ottenuti in base ad una media matematica e influenzate in negativo dalla mortalità neonatale, cosa che avviene ormai di rado.




Cliccando su questo link - CLICCA - è possibile collegarsi ad un'applicazione di google per visualizzare la speranza di vita dei vari paesi del mondo.




Per vivere meglio è opportuno migliorare lo stile di vita iniziando da una sana e salutare alimentazione. Sappiamo che gli alimenti, soprattutto di origine vegetale, apportano sostanze benefiche per l'organismo umano, queste sono dette fitofarmaci.
Gli alimenti che presentano tali sostanze sono detti "funzionali" o "nutraceutici" e forniscono importanti benefici per la salute, non solo in termini conservativi per la salute stessa ma preventivi nei confronti di molteplici patologie. Gli alimenti del terzo millennio sono proprio i nutraceutici classificati in base al colore.


I cinque colori della vita





Il rosso: pomodoro, fragole, ciliegie, ravanelli, anguria, arance rosse, etc.; hanno effetti positivi sul tratto urinario, sulla memoria, sono indicati come riduttori dell'incidenza tumorale e delle malattie cardiovascolari. Le sostanze phytochemical principali sono il licopene e le antocianine. Sono entrambi sostanze ad alto potere "scavenger" (spazzine).

Il giallo-arancio: arance, clementine, mandarini, limoni, melone, zucca, carote, peperoni, albicocche, pesche; hanno effetti positivi sul sistema immunitario, sulla vista, sulla pelle; sono testati con ottimi riscontri per il loro effetto antitumorale e protettivo sul sistema cardiocircolatorio. I principali phytochemical sono: i flavonoidi, che agiscono a livello intestinale; la vitamina C , presente in quantità nel peperone, arancia e limone, ha funzione antiossidante e contribuisce alla formazione del collagene; le antocianine, con effetti antinfiammatori, antitumorali e anticoagulanti, sono presenti in grandi quantità nelle arance.

Il verde: asparagi, basilico, prezzemolo, broccoli, insalata, spinaci, zucchine, kiwi, cetrioli, uva bianca, etc.; hanno effetti positivi su ossa, denti, vista e sono attualmente testati per il loro effetto antitumorale. I principali phytochemical sono la clorofilla e i carotenoidi che aiutano a prevenire molti tipi di tumori e proteggono dalle patologie coronariche. Sono anche responsabili dello sviluppo delle cellule epiteliali come l'epidermite e l'endotelio, tessuto presente nei vasi sanguigni. Nel verde c'è anche il magnesio, utile per il metabolismo dei carboidrati e delle proteine, regola inoltre la trasmissione degli impulsi nervosi. Gli ortaggi a foglia verde contengono molto acido folico (vitamina M o B9) e i più generici e meno stabili folati, che aiutano a prevenire l'aterosclerosi e la spina bifida nei neonati durante la gravidanza.

Il blu-viola: melanzane, radicchio, frutti di bosco, uva rossa, prugne, fichi, etc.; hanno effetti positivi sul tratto urinario, sull'invecchiamento cellulare e sulla memoria; gli sono attribuiti poteri antitumorali e protettivi sul sistema cardiocircolatorio. Gli alimenti di questo gruppo apportano un cospicuo contenuto di fibra che facilita la peristalsi (movimento delle pareti intestinali che accelera il transito dei boli). I principali phytochemical sono l'antocianina, il ribes e il radicchio apportano vitamina C, che facilita la formazione di collagene e carnitina, e i carotenoidi. I frutti di bosco curano invece la fragilità capillare e prevengono infiammazioni al tratto urinario. Sono presenti i carotenoidi che hanno effetti preventivi nei confronti di tumori, malattie cardiocircolatorie compreso l'ictus, patologie neurodegenerative, cataratta, invecchiamento cellulare specialmente quello cutaneo.

Il bianco: cipolla, aglio, cavolfiore, finocchi, mele, pere, funghi, etc.; hanno effetti positivi sui livelli di colesterolo LDL; hanno effetto preventivo antitumorale e protettivo dell'apparato cardiocircolatorio. I principali phytochemical sono: quercetina, solfuri allilici presenti in aglio cipolla con azione anti-ipertensiva e chemio preventiva; isotiocianati allilici (allicina) con effetti antibiotici, antifungini e attualmente testati per azioni antitumorali e anticolesterolomizzanti.

Gli alimenti dei cinque gruppi non possono essere considerati curativi, né tantomeno panacea per qualsivoglia disturbo o patologia, solo il consumo costante e alle dosi consigliate, proprio per la presenza dei phytochemical, contribuiscono a svolgere un'attività protettiva sul nostro organismo. È consigliato un consumo totale di 400 g/die comprendendo possibilmente in tale quantità, tutti i colori presenti e in cinque momenti differenti della giornata. Con tale dosi si garantisce approssimativamente un apporto giornaliero di fitocomponenti nutraceutici pari a 1,5 g. Si deve ricordare che la moderazione è essenziale per l'efficacia dell'azione. Il "troppo storpia" anche per i composti benefici che, se assunti in dosi eccessive, potrebbero avere effetti contrari e antinutrizionali ( i tannini in grandi quantità influiscono sull'assorbimento delle proteine, o le fibre insolubili, come la crusca, su quello dei sali minerali come il calcio e lo zinco).
Questo articolo è redatto sui consigli per una sana e corretta alimentazione del Prof. Pierluigi Biagi , in ambito della convention con tema "Il ruolo degli ortaggi nell'alimentazione del XXI secolo" , Cesena 8 Febbraio 2007 .
Argomento didattico del C.d.L. "Scienze dell'Enogastronomia Mediterranea e Salute" dell'Università di Messina.


mercoledì 17 novembre 2010

La Dieta Mediterranea è Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità


Nel linguaggio comune è abitudine indicare il regime alimentare con il quale ci si nutre con il termine Dieta, e noi continueremo ad utilizzare tale termine per indicare ciò che entra con grande merito tra le liste dell'Unesco (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura). Il patrimonio culturale immateriale dell'umanità, già ricco di 166 elementi (in Italia è il terzo dopo "l'opera dei pupi" siciliana e "il canto a tenore" sardo), inserisce nelle proprie liste il "nostro" regime alimentare, non solo come mezzo alimentare, nutrizionale e salutistico, ma sotto la più ampia visione storica dello "stile di vita"(Dìaita: modo di vivere). La candidatura è stata presentata da Italia, Spagna, Grecia e Marocco e approvata a Nairobi in Kenia. La notizia è divulgata dal presidente della Coldiretti Sergio Marini indicandone i meriti agli agricoltori-allevatori-pescatori che hanno saputo mantenere quasi del tutto inalterata la tradizionale disponibilità delle risorse.
Quello che era inteso Mare Nostrum dagli antichi Latini, il Mar Mediterraneo, ospita, sulle rive del proprio bacino, popoli, che pur avendo identità proprie, con differenze abissali e piccole sfumature, hanno garantito una cultura comune, quella alimentare, nel corso dei millenni. Una grande fortuna è quella del bioma presente in quest'area del globo terrestre, che l'uomo, in tempi profondi, ha saputo addomesticare e sfruttare e, grazie a un radicato senso culturale, tale "fortuna" si è tramandata di padre in figlio, a volte arricchendosi di nuovi elementi, come il pomodoro (Solanum lycopersicum esculentum) e la patata (Solanum tuberosum L.) provenienti dalle Americhe.
L'importanza degli alimenti principali nella nostra dieta si evince dalla storia. I commercianti Fenici prima, i conquistatori Greci, Latini e Arabi dopo, hanno garantito la divulgazione delle colture di base nella nostra dieta, portando ovunque conoscenza, usi e costumi. La convivialità della tavola è retaggio di tali culture. L'azione preventiva degli alimenti sulla salute proviene dalla visione "olistica" del corpo umano
di Ippocrate, nel V secolo a.C., con le sue "teorie umorali".
Gli stessi alimenti che troviamo descritti nel poemetto eroicomico di Archestrato di Gela, "Hedypatheia", e in quello di Ateneo di Naucrati, "I Deipnosofisti", nel IV e III secolo a.C., li ritroviamo sulle nostre tavole. Lorenzo Piroddi e Ancel Keys, entrambi medici, nel secolo scorso, promuovono la dieta mediterranea come fattore preventivo delle malattie cardiocircolatorie e dismetaboliche.
Cibo è sinonimo di cultura, storia, tradizione, scienza e noi mediterranei abbiamo saputo sfruttare tutto ciò con grande maestria fino al riconoscimento ufficiale.
Un grandissimo riconoscimento che gratifica i neolaureati in "Scienze dell'Enogastronomia Mediterranea e Salute" di Messina e spinge con orgoglio i docenti e attuali studenti nel proseguire con uguale impegno alla divulgazione e conoscenza dello Stile Mediterraneo nel mondo.
Ad maiora semper.

mercoledì 20 ottobre 2010

La storia in tavola - Guida alla cultura gastronomica nei tempi


Capitolo VI


Gli anni '60



Vincenzo Campi, "Mangiatori di ricotta"
fine 1500, Musée des Beaux-Arts di Lione
Il Novecento è il secolo che vede i più veloci cambiamenti sociali di tutta la storia dell'uomo. Gli sconvolgimenti dovuti alle guerre, la necessità di riformulare e rinnovare l'economia, di ricostruire materialmente le città, gli assetti politici e sociali, permettono il rinnovamento e l'avvio verso la nuova era. Nel decennio tra la metà del 1960 e il 1970, la fine della mezzadria, il tumultuoso processo d'industrializzazione, l'abbandono in massa delle campagne verso le città, l'arricchimento di larghi strati di popolazione con il conseguente aumento della qualità della vita e la richiesta sempre maggiore di servizi professionali, causano la crisi delle trattorie che vedono rallentamenti nella reperibilità dei prodotti tipici, alla base della loro stessa politica ristorativa. Grazie alla cultura enogastronomica, perpetrata da molte associazioni al fine di creare figure professionali ben definite in ambito ristorativo, si definisco i nuovi sistemi di servizio con una particolare attenzione al vino e la conseguente trasformazione di modeste trattorie in ristoranti di qualità dove, in parte, si recuperavano e si valorizzavano i prodotti tipici del territorio.

 
La Nouvelle Cuisine

 
Negli anni '60 la cucina professionale francese, rappresentata da quella classica di Carême, poi dall'internazionale di Escoffier, attraversa un periodo di grande crisi. L'appariscenza dei piatti e la pesantezza delle preparazioni, aggravata da cotture lunghe e da salse troppo grasse, non rientrano più nei gusti dell'uomo moderno. Alcuni cuochi attingono dalla cucina del "Sol Levante" tecniche nuove per rinnovare la propria, scegliendo cotture più brevi, salse più leggere, diminuzione della quantità di cibo e diversa estetica del piatto. Tali novità sono immediatamente apprezzate da un vasto numero di persone, tanto da carpire l'attenzione di giornalisti del settore, Gault e Millot, che scriveranno nel 1973: "Oggi è morta la cucina tradizionale francese ed è nata la nuova cucina".
In realtà, la nouvelle cuisine, rappresentava un rimodernamento della cucina tradizionale, basata su principi in parte enunciati nel manifesto della cucina futurista italiana degli anni '30.
Semplificazione del menù con riduzione del numero delle portate ed eliminazione della terminologia incomprensibile, menù giornaliero stilato in base ai prodotti del mercato, riduzione dei tempi di cottura, utilizzo di strumenti d'avanguardia come microonde, bollitori a temperatura controllata e miscelatori, sostituzione delle salse grasse con quelle più leggere, disposte non più sul cibo ma a specchio, particolare attenzione per i principi dietetici e salutistici, creatività nella preparazione delle ricette e nella presentazione dei piatti, furono tutti i punti cardine della nuova cucina francese. Questa fu presentata, forse con troppa enfasi, come rivoluzionaria e si diffuse in tutto il mondo dell'alta ristorazione compreso nei paesi protestanti, che da secoli non avevano più accettato modelli culinari provenienti dai paesi cattolici. Anche in Italia, soprattutto in quella del nord, lo stile francese si estende a macchia d'olio. Con il passare del tempo il nuovo stile diventò una moda, e come si sa, le mode sono passeggere. Il periodo glorioso della nouvelle cuisine termina negli anni '80. Nel 1985 lo stesso Gault ne decretò la morte scrivendo " La nouvelle cuisine ha terminato il suo corso", ma tentò ugualmente di ripetere il successo lanciando un nuovo modello, la cuisine ouverte (aperta), che rappresentava una via di mezzo tra la nouvelle e l'alta cucina francese. Purtroppo il nuovo modello dell'ouverte non riuscì a decollare. Frutto dell'idea di un giornalista non fu sentito da chi realmente operava in cucina.
Le cause della fine della nouvelle cuisine furono principalmente attribuibili alla mancanza di coerenza con i principi enunciati, perché, invece dei prodotti stagionali, se ne usavano alcuni costosi e francesi, come il foie gras alsaziano, i volatili di Bresse, l'agnello della Normandia, le ostriche, il salmone crudo, i gamberi di mare, il tartufo del Périgord, e molti altri. Inoltre, gli artefici della nouvelle, che erano indubbiamente dei grandi professionisti, seguirono l'onda senza possedere le tecniche e le conoscenze adeguate, credendo potesse bastare solo copiare le ricette dei cuochi geniali ideatori di tale stile, o inserire nei menù prodotti francesi. La monotonia delle proposte ha stancato i clienti, insieme a prezzi troppo elevati, giustificati in parte dalla presenza numerosa degli addetti alle cucine che si adoperavano per la preparazione di piatti perfetti. A questo si devono aggiungere le porzioni troppo piccole, e l'uso delle cotture brevi che anticipavano un po' troppo il gusto del crudo, al quale i consumatori occidentali non erano ancora abituati. Alla nouvelle cuisine si deve attribuire però l'importanza della ristrutturazione e dello svecchiamento della gastronomia classica e l'evoluzione del gusto degli occidentali, aprendo la via alla cucina del nuovo millennio.

 

La risposta italiana alla nouvelle cuisine
Il disprezzo per la cucina italiana era diffuso e proclamato. I cuochi italiani, improvvisati interpreti del nuovo modello, si adoperavano in provocazioni esagerate al fine di sminuire e umiliare i vecchi canoni gastronomici. Negli anni '70 arriva la reazione con la nascita di una nuova associazione, che vede un gran numero di adesioni tra i professionisti nazionali, Linea Italia in cucina. L'obiettivo era di coniugare l'innovazione discreta con la tradizione, cercando la perfezione delle esecuzioni e la raffinatezza del gusto, senza alterare il sapore genuino dei cibi. Si traeva ispirazione dalla letteratura storico – classica, adattando le ricette dei tempi gloriosi alle nuove esigenze e seguendo la tradizione della cucina borghese artusiana, colta, fine, delicata e signorile. Si arrivò così a una cucina alleggerita e aggiornata, con cotture né troppo lunghe né troppo brevi, una notevole diminuzione dei grassi animali e delle salse troppo pesanti, sostituite da altre più leggere a base di legumi e olio d'oliva, da presentazioni di buon gusto senza pretese artistiche, porzioni non abbondanti ma nemmeno ridotte. Infine un buon rapporto qualità/prezzo che non penalizzava né il cliente né la professionalità del ristoratore. Dopo lo scioglimento di Linea Italia in cucina, questo modello fu portato avanti da una nuova associazione professionale, l'ORPI (Ordine Ristoratori Professionisti Italiani), riuscendo a valicare i confini nazionali e portando la proposta italiana a essere la più praticata e gettonata in tutto il mondo. A tale proposito qualcuno ha parlato di Nuovo Rinascimento della cucina italiana.
Dopo la fine della nouvelle cuisine e un periodo di enorme confusione, le nuove tendenze dell'alta cucina si liberano da ogni identità nazionale assumendo aspetti mondiali, in sintonia con il processo di globalizzazione economica.

martedì 21 settembre 2010

La storia in tavola - Guida alla cultura gastronomica nei tempi





Capitolo V

Il Novecento

"Lo Stregone", Magritte, 1953
I due filoni della cucina, quella di estrazione francese, perseguita nei ristoranti di lusso dei grandi alberghi, e quella di estrazione regionale nelle osterie, continuano a essere i soli stili proposti a un'esigua fila di avventori durante i primi anni del XX secolo. I valori della cucina borghese sono ancora prerogativa delle famiglie poco avvezze a consumare pasti al di fuori delle proprie mense. Proprio in quest'epoca si diffonde l'abitudine del pranzo "fuori casa", principalmente in bettole, osterie, trattorie e ristoranti, ambienti diversi tra loro per il livello di piatti, servizi e fruitori.


Le differenze sono sostanziali: le bettole sono ambienti malfamati, dove si serve vino e a volte cibi freddi.
L'osteria è più decorosa, il servizio del vino è quello centrale ma affiancato da una cucina che propone una certa varietà di piatti caldi. Naturalmente anche l'osteria non è ambiente di alto rango, il menù è composto da pochi piatti cambiati giornalmente, come zuppe, stufati, pasta e fagioli, trippa, o nei giorni di magro, baccalà, stoccafisso o acciughe. Il servizio è ai minimi livelli e se offre qualche camera per il pernotto, è definita locanda.
Durante i primi del Novecento, secondo le usanze diffuse nell'Italia centrale più che nel resto del paese, le osterie fanno il salto di qualità. Si trasformano in locali più decorosi poiché frequentati da famiglie e quindi avventori più esigenti in merito a servizio e menù proposti. Il miglioramento qualitativo permette il cambiamento anche del nome, diventeranno trattorie o, se di livello superiore, ristoranti.
Le trattorie raggiungono, durante il periodo fascista, il massimo della diffusione, poiché la politica nazionalista porta a un atteggiamento diffidente nei confronti dello stile culinario francese e all'esaltazione del sapore genuino del piatto piuttosto che al servizio e alle salse ricercate. Con il passare del tempo si consolida, anche nei ristoranti, lo stile artusiano basato sulle ricette tradizionali, sugli eccellenti prodotti del territorio compresi i vini, e su un servizio decoroso. È proposta una cucina più semplice che quella francese, con costi più bassi e più gustosa, la quale riscontrò un gran successo in ogni ceto sociale. Il libro di Ada Boni del 1929, Il Talismano della Felicità (Colombo editore, 1999), è testimonianza di tale cambiamento.

La cucina futurista italiana

Negli anni '30 nascono Il Manifesto della cucina futurista e Il Manifesto per un'arte cucinaria imperiale, basati su principi che tentano di caratterizzare la cucina italiana attraverso l'adozione di stili totalmente nuovi, molto simili a quelli sui quali sarà improntata la Nouvelle Cuisine. Le preparazioni devono essere divertenti, artistiche, saporite e poco costose, devono creare nuove fusioni di sapori utilizzando i prodotti importati dalle nuove colonie, come il dattero con le acciughe. Il manifesto propone un superamento della cucina tradizionale, l'introduzione di nuove vivande nelle ricette vecchie. Libera l'estro creativo dei professionisti nella preparazione dei piatti, nella compilazione dei menù e nella presentazione delle vivande. In sintesi, si tentava di promuovere un'alimentazione razionale e igienista per creare un'altra arte gastronomica con caratteristiche ben precise e che potesse rispecchiare l'Italia imperiale.
"È tempo di dichiarare l'arte cucinaria nobile ed attraente quanto la poesia, la musica e l'architettura, capace di creare armonie spirituali degne di ammirazione e suscettibili di infinite evoluzioni."
Si rivoluzionano il menù e la successione delle portate con l'antipasto, una minestra di riso (la pastasciutta va abolita perché calorica e ingrassante), il trittico fritto, bollito, arrosto, seguiti dal dolce, anticipando notevolmente la cucina destrutturata. Si anticipa anche la cucina fusion degli anni '60 con l'introduzione nelle ricette tradizionali di prodotti esotici, come datteri, banane, cacao e caffè.
Purtroppo la seconda guerra mondiale, la distruzione di gran parte del paese e la fame, porta all'abbandono della nuova arte cucinaria, nella quale erano presenti molti dei principi della nouvelle cuisine e di altre cucine del nuovo millennio, come quella d'autore, la fusion, l'artistica, la food design, la cucina cerebrale di Ferran Adrià.
Il panorama della ristorazione italiana, nel dopoguerra fino alla fine degli anni '50, era ancora una volta, retto dalla cucina d'impronta francese nei locali di lusso, dalla cucina regionale nelle trattorie- osterie e dalla cucina borghese, d'impronta artusiana, in pochissimi locali del territorio.

Per una lettura di approfondimento sul Manifesto della cucina Futurista clicca su LINK.

martedì 14 settembre 2010

Cous Cous Fest 2010 San Vito Lo Capo



Non potevamo non iscriverci al sito "Il Bloggatore". Una tra le migliori blogosfere che si possano trovare sulla rete. Gli amministratori, tra i quali non ci risparmiamo dal salutare Alessio, sono gentili, professionali e disponibili per qualsiasi chiarimento. Spediscono giornalmente, sulla posta elettronica dei propri iscritti, una ventina tra i titoli pubblicati e inseriti nelle varie sezioni tematiche, per creare una sorta di videogiornale e divulgare le ultime novità dai blogonauti. L'iscrizione è gratuita e i vantaggi in merito a visibilità non sono pochi rendendoci tutti "interconnessi".

San Vito Lo Capo è un comune costiero della provincia di Trapani, di quattromila anime passate, che vede il numero dei propri abitanti e visitatori salire vertiginosamente nel periodo estivo. È un luogo magnifico per la sua posizione geografica, per la bellezza paesaggistica e per la cura delle risorse turistiche, tanto da ricevere anche quest'anno, le cinque bandiere, massimo riconoscimento attribuito solo a dieci comuni in tutto il territorio nazionale, dalla "Guida Blu 2010" di Legambiente. Per essere più esaustivi in merito, tale riconoscimento è dato solo a quei comuni che investono i propri mezzi distinguendosi nella sostenibilità ambientale, nella raccolta differenziate dei rifiuti, nella gestione delle risorse idriche, nell'istituzione di aree pedonali, e non da meno nella tutela delle bellezze naturali, nel mantenimento della pulizia delle spiagge e nella qualità delle acque marine e dei fondali, quindi, il comune siciliano rientra tra le più gettonate località turistiche italiane.
Oltre alle bellezze naturali, San Vito Lo Capo offre un panorama enogastronomico di tutto rispetto, ospitando, ormai dal 1998, il "Cous Cous Fest", una rassegna internazionale culturale ed enogastronomica Mediterranea, dove gli chef di nove paesi, Italia, Francia, Marocco, Algeria, Tunisia, Costa d'Avorio, Senegal, Palestina e Israele, si cimentano nella preparazione del "cuscus" secondo le ricette della tradizione culinaria dei paesi d'origine. Quest'anno il festival si svolgerà dal 21 al 26 settembre e ospiterà una serie di altre manifestazioni che amplieranno l'interesse cultural - gastronomico dell'evento, come "Electrolux Exeprience", che vedrà confrontarsi in una competizione amichevole Pino Cuttaia, Corrado Assenza e Peppe Giuffrè. Tre nomi di tutto rispetto che s'impongono nel panorama della gastronomia siciliana grazie alla loro onesta professionalità.

Pino Cuttaia, due stelle Michelin, è il patron del ristorante "La Madia" di Licata (http://www.ristorantelamadia.it/index-ita.html);

Il pasticciere Corrado Assenza farà degustare alcune delle delizie del celebre Caffè Sicilia di Noto (http://www.infioratadinoto.it/caffesicilia.html);

Peppe Giuffrè, lo chef "artista" trapanese proporrà "le tre cucine siciliane": tre piatti, degustati in tre ore e accompagnati da tre musici baccanti (http://www.officinagastronomica.com/storia.php).


Inoltre, il Cous Cous Live Show, programma di musica e spettacoli, vedrà artisti, del calibro di: Sud Sound System, Daniele Silvestri, Carmen Consoli, Lello Analfino dei Tinturia, intrattenere i visitatori del festival con concerti serali totalmente gratuiti in piazza Santuario, per tutta la durata dell'evento.

Inseriamo il collegamento al sito ufficiale dell'evento per chi volesse approfondire ulteriormente. CLICCA QUI

Buona degustazione!!!!

sabato 11 settembre 2010

La storia in tavola - Guida alla cultura gastronomica nei tempi




Capitolo IV

Le cucine regionali italiane

Il mangiatore di fagioli - Annibale Carracci
1580-1590; Galleria Colonna, Roma 
L'Italia, durante il periodo Barocco del '600, aveva perduto la visione unitaria che aveva caratterizzato tutto il periodo rinascimentale. Le aree regionali, alcune assoggettate dalle grandi potenze straniere, altre isolate da ogni traffico commerciale, svilupparono tipici caratteri inerenti alla cucina popolare. Proprio le cucine popolari, con le loro oltre 70.000 ricette a noi pervenute, mantennero viva la tradizione gastronomica di tutta l'Italia anche se tenuta ai margini e completamente ignorata dai ceti alti. La gastronomia delle corti e dell'aristocrazia tutta era dominata dallo stile francese, come testimoniano i libri di quel periodo, colmi di francesismi. Durante la fine del XVII secolo, le divisioni politiche e le situazioni culturali ed economiche portarono alcuni territori regionali a molti cambiamenti, discostandosi progressivamente per molti aspetti, da quello che era stato fino a quel momento lo stile francese.
Tra il '700 e '800, con l'arrivo dei nuovi prodotti alimentari dall'America, quali patate, mais, pomodori, cacao, fagioli, tacchino, cioccolato, e molti altri, si consolidano le caratteristiche delle diverse cucine regionali italiane.

La cucina borghese italiana
Frontespizio del libro di
Pellegrino Artusi
Una terza cucina nacque nel XIX secolo (1800), che si sviluppò in modo rapido, affiancando la gastronomia professionale francese e la complessa cucina popolare. Due trattati gastronomici dell'epoca furono immagine delle trasformazioni sociali: "Trattato di cucina e pasticceria moderna" del cuoco di Casa Savoia Giovanni Vialardi, nel quale si trovavano le linee guida per una ristorazione aristocratica; "La Scienza in cucina e l'arte del saper mangiare" di Pellegrino Artusi, nel quale era riprodotta la nuova cucina borghese.
Artusi, cuoco per passione, raccoglie le ricette di alcune regioni italiane, le ripropone alle signore della borghesia trionfante, dando inizio così all'unificazione della cucina italiana, che avrà termine solo alla fine del Novecento. La nuova tendenza borghese rifiuta sia la cucina rurale perché considerata troppo grassa, rozza, dai sapori troppo marcati e volgari perché espressa in linguaggio dialettale; sia quella aristocratica perché schiava delle forme, troppo costosa, amante dei prodotti esotici, sfarzosa nei servizi e addobbi e che continua a soffrire di esterofilia con l'uso di termini francesi.
La cucina borghese si rivela una sintesi di entrambe le cucine, poiché assorbe l'amore per i prodotti tipici, per i gusti genuini e i costi di quella contadina e alcune tecniche professionali, la delicatezza nelle preparazioni, le regole di buona educazione a tavola, l'inserimento nei menu dei formaggi e dessert di quella aristocratica. Secondo Artusi la cucina deve essere delicata, signorile e fine. S'iniziano a scrivere i libri e i menù in lingua italiana. Il Novecento vedrà i natali della nuova ristorazione italiana, basata su una forte identità nazionale e su approfondimenti regionali.

Continua...

 

giovedì 9 settembre 2010

L'essenza della cucina Italiana vista da Anthony Bourdain


Questo è un articolo postato qualche tempo fa su "L'amore corrisposto...a volte" e che ritengo sia opportuno inserirlo nel contesto della "Loggia dei Gastronomi", dove è trattata, in modo più specifico, la letteratura gastronomica.
Una delle mie passioni è la lettura e smanettare su internet per informarmi sul mondo che altrimenti non potrei vedere in tempi così brevi (che meraviglia internet). Come dicevo, questa magnifica invenzione ci permette di essere i più temerari navigatori del cyberspazio ed esploratori alla scoperta di personalità lontane, ci permette di esporre idee, di condividere con chi ci segue le nostre esperienze, etc. La nostra fortuna è che abbiamo la possibilità, rispetto a tempi non troppo lontani, di approfondire i nostri interessi e nello stesso tempo interagire con le "entità" nascoste dietro immagini e pagine virtuali di siti diversi, comodamente seduti su qualche poltrona del nostro regno (possa essere un tugurio in un sottoscala o un castello non fa differenza, il nostro spazio è l'impero che possiamo governare a nostro piacimento). Potendo avere la possibilità di scelta, il mio tempo lo impiego si per il web, ma non mi privo di una sana lettura tradizionale. Quella che si effettua su libri fisici, fatti di sonora e profumata (per chi ama l'odore del petrolio altrimenti il termine sarebbe maleodorante) carta e inchiostro. Naturalmente le mie letture sono indirizzate verso quello che è il mio mondo, l'universo enogastronomico (non si finisce mai di imparare), con qualche capatina nel regno delle scienze e della letteratura classica, insomma un po' di tutto.
Mi sono imbattuto in un romanziere, chef e uomo di mondo (il connubio tra vizi e virtù è una caratteristica del personaggio in questione) Anthony Bourdain (http://www.anthonybourdain.net/) ed ho voluto leggere uno dei suoi romanzi, naturalmente dopo averlo acquistato, "Kitchen Confidenzial – Avventure gastronomiche a New York", forse perché, essendo anche io un po' "vissuto", leggendo la sua biografia si prospettavano divertenti ore di relax. Devo ammettere che è stato piacevole leggere il libro e mi ha fatto ancora più piacere leggere come uno chef di rango, abituato ad una cucina ricercata, potesse carpire, dopo anni di erronee credenze, la vera essenza della" nostra" cucina italiana. Cito testualmente dal suo romanzo:
"Dovevo ammettere che era una rivelazione . Una pasta al pomodoro, praticamente la cosa più semplice a cui si potesse pensare, pasta con salsa rossa, all'improvviso diventa qualcosa di straordinariamente bello ed emozionante. Tutto il cibo era semplice. E non intendo dire facile o banale. Voglio dire che per la prima volta nella mia vita vedevo come soli tre o quattro ingredienti, se freschi e della qualità migliore, potessero essere combinati in modo da dare un risultato eccellente e a tratti mirabile. Piatti casalinghi, campagnoli come zuppa di pane alla toscana, l'insalata di fagioli bianchi, i calamari alla griglia, il polipetto, i teneri carciofi novelli in olio d'oliva e aglio, un semplice sauté di fegato con cipolle caramellate, diventano immediatamente un'ispirazione, una novità. L'integrità, semplice e senza pretese, di tutto questo era un approccio inedito, diverso da tutte le salsine confezionate e dagli ingredienti esotici del mio recente passato".

Questa breve citazione è estrapolata dal capitolo intitolato: "PINO NOIR: INTERLUDIO TOSCANO" (pag. 165) e si riferisce all'esperienza professionale, essendo un romanzo autobiografico, che l'autore ha vissuto presso il ristorante newyorchese "Le Madri" del patron Pino Luongo (http://pinoluongo.wordpress.com/about/).


Dopo una gioventù dissipata, all'insegna di droghe e contestazione, Anthony Bourdain arriva quasi per caso nella cucina di un grande ristorante di New York e, facendo una lunga gavetta, diventa uno dei cuochi più famosi della metropoli. E' autore di due romanzi, "Bone in the Throat" e "Gone Bamboo", entrambi pubblicati negli Stati Uniti e in Gran Bretagna da Bloomsburry. Feltrinelli "Traveller" ha pubblicato anche "Il viaggio di un cuoco" (2004) e "Avventure agrodolci. Vizi e virtù del sottobosco culinario" (2006).

martedì 7 settembre 2010

Il Menù – Tecnica e pratica della ristorazione


Con questo articolo, tratto da alcuni testi didattici alberghieri, cerchiamo di essere utili per una maggiore consapevolezza di ciò che può essere la ristorazione. La cultura gastronomica affonda le proprie radici molto lontano nella storia, ed è proprio da questa che attingiamo il nostro sapere e le nostre pratiche quotidiane, al fine di migliorare continuamente. Ad maiora semper!!






Breve storia del menù

Menù del 1889
Il termine menù è di origine francese e, prima di entrare nel linguaggio corrente, in Italia, ha incontrato notevoli resistenze. Addirittura, alla fine del XIX secolo, si svolse un referendum tra esperti del settore al fine di imporre un'alternativa italiana, non ottenendo però alcun risultato.
L'uso di predisporre una sequenza ordinata delle portate è un'abitudine molto antica. Già nel '300 vi fu la prima pubblicazione nella quale si trattava tale tema, Il Saporetto di Simone Prudenziani. Nel XV secolo, Bartolomeo Sacchi detto il Platina, con il suo De honesta voluptate et valetudine, suggerisce che cosa mangiare nella prima, seconda e terza mensa, con l'aggiunta di cosa serva per "sigillar lo stomaco".
Nel trattato Dello Scalco di Giovan Battista Rossetti (1584), oltre le liste delle vivande, sono presentate le liste stagionali, settimanali sia per i vari giorni della settimana, sia per le ricorrenze civili e religiose. Dalla fine del '800, i ristoratori iniziarono a distribuire cartoncini che riportavano le vivande della giornata. Con il tempo tali cartoncini furono rivisitati e presentati in armonia con la tipologia del locale, acquisendo un aspetto più curato. Predisporre un menù accattivante, come economicamente vantaggioso, è difficile e impegnativo. Il grande Escoffier (1847-1935) rilevava questa difficoltà, nel suo "Libro dei Menù" del 1912, e sottolineava la necessità di trovare un giusto equilibrio tra la disponibilità dei prodotti e la specialità del locale, di rinnovarsi senza trascurare le esigenze degli avventori abituali, di offrire sempre varianti a seconda del gusto e delle voglie di ciascuno.

Menù e lista delle vivande

Menù del 1894
Riferendoci al menù indichiamo sia l'elenco delle portate di cui è composto un pasto, sia il cartoncino con l'elenco dei piatti.
La lista delle vivande è invece l'insieme di tutti i piatti tra i quali il cliente può scegliere; può anche essere chiamata la carta delle vivande e, in caso di liste particolarmente ampie e ricche, assume il nome di "grande carte". Inoltre, a differenza del menù, la lista delle vivande riporta informazioni più dettagliate inerenti il prezzo, l'eventuale utilizzo di prodotti surgelati, i tempi di preparazione di piatti particolarmente elaborati, i piatti venduti a peso e non a porzione, ecc.
Le preparazioni si presentano suddivise per gruppi, secondo un ordine che va dal più leggero al più pesante.
Sfatiamo quindi, secondo le norme della ristorazione alberghiera, il luogo comune di usare impropriamente il termine "menù" come sinonimo di lista.

Le regole classiche

Quando si compila un menù si devono tener presente le regole classiche di successione di piatti. La storia ci ha tramandato il racconto di pranzi composti di un numero incredibile di portate differenti; oggi si preferisce un menù più semplice, con un numero ridotto di portate. Generalmente si segue il principio ascendente: prima si servono i piatti più leggeri sino ad arrivare a quelli più impegnativi.
Le regole fondamentali di una sequenza classica di vivande sono:
  • Un menù per un lunch non ammette brodi o minestre;
  • Un menù per dinner non può iniziare con un antipasto freddo, salvo che non si tratti di caviale, salmone, pesce affumicato, ostriche, cocktail di crostacei, o frutta;
  • Si può aprire un dinner con preparazioni fredde come mousse e terrine, che devono essere seguite da un brodo, consommé o minestra in brodo;
  • Una salsa bianca deve precedere una bruna;
  • Un piatto di riso precede sempre uno di farinacei;
  • Le carni bianche vanno servite prima delle rosse;
  • I piatti freddi precedono quelli caldi;
  • Un pesce bianco precede preparazioni di quelli salsati o grigliati;
  • Non bisogna mai ripetere la stessa cottura nemmeno per prodotti diversi;
  • Non si può utilizzare due volte lo stesso prodotto, fatta eccezione per funghi e tartufi;
  • I contorni devono essere sempre abbinati al piatto;
  • I contorni freddi vanno serviti a parte e quelli caldi nello stesso piatto della portata calda;
  • Le porzioni vanno adeguate al numero delle portate;
  • Il menù deve accordarsi alla stagione in cui è servito.







Oltre a rispettare queste regole, quando si compila un menù è necessario esprimersi con proprietà, evitando errori di ortografia e seguendo queste semplici regole:
  • La parola "posta" a inizio riga va scritta con la lettera maiuscola e seguendo con le minuscole (esempio Arrosto di vitello);
  • Se la porzione è composta di diversi pezzi, va usato il plurale (esempio Bocconcini di vitello);
  • Per la carne va specificata la tipologia del prodotto (esempio Stufato di maiale);
  • se si sono usate bevande o alimenti di marca, questi vanno citati e trascritti nel menù con lettera maiuscola (esempio Brasato con riduzione di Sangiovese ).
  • Nel limite del possibile, è bene non utilizzare nomi di fantasia, e comunque non usare la stessa dicitura per più piatti (esempio Risotto alla Milanese e Cotoletta alla Milanese);
  • Non vanno mai tradotte le diciture classiche (esempio Carré di vitello principe Orloff);
  • È opportuno evitare l'uso di «al», «alla», «alla moda di», «stile»;
  • È importante cercare di essere sempre chiari e precisi evitando di usare diciture troppo lunghe;
  • Le varie portate vanno suddivise con un elemento grafico;
  • Quando l'abbinamento vino è già predisposto, va segnalato nel menù, specificando nome, annata, cantina e zona di produzione;
  • Il menù, come la lista delle vivande, dovrà essere sempre in ordine, pulito e senza correzioni.

La successione delle portate



Menù del 1896

Esiste una corretta successione dei piatti che occorre tener presente nella costruzione del menù. Rispetto al passato, il numero dei piatti che compone un menù è drasticamente diminuito fino a un numero di 3-4 portate.
L'ordine generalmente seguito, secondo una moderna concezione di servizio, prevede:




  • Antipasto freddo;
  • Minestre brodose (prima la chiara, poi la legata);
  • Primo asciutto (prima quello con pesce, poi quello con carne; prima quello più delicato, poi quello più saporito);
  • Piatto di mezzo;
  • Piatto principale;
  • Arrosto o entrata di carne;
  • Entrata fredda;
  • Contorni e insalate;
  • Dessert (prima il formaggio, poi il dolce e infine la frutta).







Per quanto riguarda il dessert, il dolce può essere invertito con la frutta, servendolo per ultimo, come ci insegnavano gli antichi con la locuzione latina "Dulcis in fundo".

Le diverse tipologie di menù

Il menù è cambiato periodicamente e adattato alle richieste della clientela, alle occasioni di consumo, ai prodotti alimentari disponibili e al miglior prezzo secondo l'andamento della stagione e del mercato.
In base alla tipologia di locale o di evento è necessaria la compilazione di un menù appropriato.
Le caratteristiche sono:

Menù del giorno: è quello che cambia giornalmente programmato di solito il giorno precedente. È il menù tipico degli alberghi caratterizzati da soggiorni lunghi, oppure può essere «la proposta del giorno» di un ristorante, inserita all'interno della carta. Questo tipo di menù dovrà fare attenzione a proporre una certa varietà di piatti e a non ripetersi sia nell'uso dei prodotti, sia nella scelta dei piatti. Poter programmare un menù giornaliero permette di usare le merci già presenti nei magazzini, di far fronte a richieste specifiche del cliente, di fronteggiare situazioni di emergenza all'ultimo momento (esempio il cattivo funzionamento di qualche attrezzatura, malattia del personale).

Menù ciclico: è quello programmato con anticipo che si ripete dopo un periodo prestabilito. È adottato in ristornati frequentati da un turismo di massa, nelle refezioni e nelle mense. Presenta il vantaggio di un "costo pasto" basso e permette di cambiare dei piatti fra un menù e l'altro, quando sul mercato ci sono offerte particolarmente convenienti di certi prodotti. Il cliente non ha grandi possibilità di scelta, se desidera fare qualche variazione dovrà comunicarlo con un certo anticipo.

Menù à la carte: è la tipologia di menù più comune in ristornati commerciali o negli alberghi di lusso, ed è strutturato secondo le regole classiche. Tale menù è concordato con il maître, poiché sarà il personale addetto al servizio che dovrà vendere i piatti alla clientela. All'interno di questo menù, dove i prezzi sono generalmente alti, in quanto comporta una spesa ingente per la manodopera e per le materie prime, si può trovare un menù fisso, generalmente indicato con «lo chef consiglia» in cui, a un prezzo competitivo, è offerta una scelta fissa dei piatti ricavata dalla lista. Per contro, il cliente riceve un servizio vario e qualificato, con la possibilità di comporre il menù a propria discrezione.

Menù à la grande carte: questo tipo di menù è presente negli alberghi e ristoranti di lusso di particolare prestigio. La preparazione dei piatti contenuti in questa carta, prevede l'uso di prodotti costosi e pregiati, per offrire una scelta veramente ampia, in grado si soddisfare i clienti più esigenti. Questo comporta la presenza di uno staff sia di cucina, sia di sala, numeroso e altamente preparato, determinando così un prezzo di vendita dei piatti elevato.

Menù turistico: è la classica proposta del giorno a prezzo fisso e si può trovare nei ristoranti commerciali medio-popolari situati in località di forte richiamo turistico. Il prezzo fisso comprende generalmente bevande e una serie di portate limitate. Questo menù, generalmente esposto all'esterno del locale, può essere affiancato anche da una carta con proposte diverse.

Menù per banchetti: questo tipo di menù viene comunemente fissato con grande anticipo, concordando la composizione, il costo, il numero dei coperti, e prezzo al tipo di servizio richiesto. Il cliente può scegliere tra un ventaglio di menù elaborati dal direttore e dallo chef per questi eventi che sono generalmente matrimoni, ricorrenze familiari, galà, cene congressuali, ecc... Questo tipo di menù rappresenta la situazione ottimale di lavoro, dato che viene programmato e gestito tutto in anticipo. La preparazione di un banchetto richiede un notevole impegno.

Menù degustazione: è un tipo di menù che sta avendo un enorme successo. È proposto in una formula fissa, cambiata periodicamente ed è inserito all'interno della carta. Può essere composto di una ristretta selezione di offerte inserite nella carta o da piatti del tutto nuovi. Può comprendere anche l'abbinamento con i vini o lasciare la scelta al cliente tra le proposte della cantina. Il "menù degustazione" permette di offrire al cliente più proposte a un prezzo più vantaggioso; sotto il profilo organizzativo, invece, dà la possibilità agli addetti di quantificare con anticipo le materie prime necessarie e di avvantaggiarsi sulle preparazioni di base. Il menù degustazione, presentato come «il meglio» del locale, è molto apprezzato dalla clientela sia per il prezzo, sia per eliminare l'imbarazzo della scelta tra un elenco piuttosto esteso.




sabato 4 settembre 2010

La storia in tavola - Guida alla cultura gastronomica nei tempi

Capitolo III


Il modello Barocco






Ragazzi che mangiano meloni e uva
Bartolomé Esteban Peréz Murillo
1645-1655, Alte Pinakothek, Monaco
La gastronomia italiana, dopo aver toccato il suo massimo splendore con lo Scappi nel XVI secolo, si piega su se stessa nel XVII secolo. Durante tale periodo anche il gusto è anteposto dalla rappresentazione spettacolare con trionfi e costruzioni architettoniche. Il cuoco, come figura professionale centrale delle corti, passa al servizio dello Scalco, una figura che può essere paragonata a quelle moderne del maggiordomo ed economo, autore di rappresentazioni culinarie barocche e di spettacoli durante i banchetti. Lo zucchero, già abbondantemente presente nei pasti dei due secoli precedenti, diviene ancor più invadente e presente su ogni preparazione, accompagnato da nuovi profumi e spezie, quali ambra e muschio. Solo l'opera di Bartolomeo Stefani, L'arte di ben cucinare del 1662, avrà qualche traduzione all'estero. In esso scompaiono i piatti di tipica provenienza italiana, quali lasagne, cappelletti, maccheroni; l'uso dello zucchero e delle spezie diviene sfacciato; compaiono salse d'ideazione francese a base di latte, uova, burro e farina stemperate nel vino e non più nell'aceto o agresto. 
L'ultima opera letteraria della grande tradizione rinascimentale barocca è "Lo scalco alla moderna" di Antonio Latini, marchigiano di origine ma scalco del Regno di Napoli. Questo sommario tra la scuola di cucina e scalcheria e le forti influenze spagnole, ha ancora una visione unitaria della cucina italiana, con piatti di alcune regioni, fra cui quello del nord, chiamati alla lombarda. Per la prima volta compaiono ricette con i prodotti importati dalle Americhe, carni stufate con pomodori passati prima sulla brace, salsa di pomodoro e peperoni alla spagnola, dolci al cioccolato a fine pasto. Alla corte di Luigi XIV, in Francia, inizia quel processo che rivoluzionerà nel secolo successivo i gusti e le tecniche della gastronomia europea. 
Inerente al periodo in questione, il XVII secolo, è stato realizzato un film, del quale consiglio la visione per una più specifica cognizione del livello gastronomico raggiunto, che ripercorre le ultime fasi della vita di François Vatel, cuoco francese e Maestro di cerimonie a servizio di Luigi II di Borbone – Condé, principe di Condé presso il castello di Chantilly, in onore del quale creò la famosa crema chantilly. Il film è "Vatel" del 2000, diretto da Roland Joffé e interpretato da Gérarde Depardieu, Uma Thurman, Tim Roth.


I modelli gastronomici protestanti

Nell'Europa cattolica, durante il XVI secolo, avvennero profonde fratture religiose, che portarono alla Riforma protestante, dopo la quale sia i popoli anglosassoni e parte di quelli germanici realizzarono un nuovo modello di società influenzato in ogni suo aspetto, compreso quello della tavola, dai severi valori religiosi. Nell'Europa e nell'America calvinista e protestante si osservavano scrupolosamente gli insegnamenti e le prescrizioni della Bibbia, compreso quello di non commettere peccati di gola, considerati capitali. In questo periodo, soprattutto in America, è stata elaborata una cucina parca, essenziale, nutriente ma priva di fantasia, di raffinatezze o compiacenze considerate peccaminose. I libri di cucina scritti erano principalmente per opera di casalinghe, con il solo obiettivo di dare crema Consigli e suggerimenti per ottenere una cucina sana e poco costosa.


Il primato francese e la rivoluzione del gusto

Frontespizio del libro di La Varenne
Nel libro Le Cuisinier François, opera di La Varenne del 1651, sono descritte le tecniche rivoluzionarie che influenzeranno la nostra cucina. La Varenne semplifica la cucina barocca, alleggerisce le porzioni e i piatti, li raggruppa per sapori omogenei e diminuisce il numero dei servizi. Lo zucchero è esiliato al solo uso della pasticceria mentre le spezie restano, le salse a base acida convivono con quelle nuove a base grassa e compaiono elementi fondamentali della cucina francese, come fondi e riduzioni di carni e verdure.
Nel XVIII secolo, il processo iniziato in quello precedente giunge a maturazione. Alla corte di Luigi XV i nobili spendono cifre impressionanti per accaparrarsi i servizi dei migliori cuochi, si cimentano anch'essi dietro ai fuochi e attribuiscono il proprio nome a diverse preparazioni, mentre gli intellettuali illuministi discutono di gastronomia con la serietà con sui dissertano di filosofia, politica ed economia, proprio come accadeva nel periodo di Confucio in Cina, nel periodo imperiale romano e nel Rinascimento italiano. 
Le salse a base acida scompaiono quasi del tutto lasciando spazio alle nuove salse a base grassa stemperate nello Champagne. Sono largamente utilizzati i fondi di cottura scuri e biondi, i rosolati, le combinazioni tra rosolati e basi, le riduzioni del vino, le glasse e demi-glasse. La gastronomia si perfeziona raffinandosi ulteriormente, diviene più misurata, rispecchia ciò che è la filosofia dei lumi emulando in parte la leggerezza cinese con molte portate e poco cibo.
Questa nuova gastronomia influenza tutte le corti europee, così com'era avvenuto nel Cinquecento per quella italiana, ma solo in Italia e parzialmente in Spagna sarà decisiva sul cambiamento del gusto. In particolare, la separazione dei sapori dolce, acido e salato, e la quasi eliminazione delle spezie, saranno le caratteristiche delle cucine italiana, francese e iberica. Le impronte medievali, con l'agrodolce-speziato, rimarranno nei paesi divenuti protestanti, più refrattari ad accogliere la nuova tendenza culinaria francese raffinata e costosa, come in Inghilterra, Paesi Scandinavi, Olanda e America.

Marie Antoine Carême
1784 -1833
La cucina francese raggiunge la sua massima espressione, tra la fine del Settecento e gli inizi dell'Ottocento, con Marie - Antoine Carême, che completa il processo di alleggerimento della cucina e dei servizi. Per Carême la professione del cuoco era una forma d'arte, costruita con creatività, passione e perfezionismo. Fu definito l'architetto, per le costruzioni mirabolanti con cui presentava i cibi, il Raffaello della cucina per le composizioni cromatiche dei piatti, il re dei cuochi e il cuoco dei re. Fu considerato il padre della grande cuisine, o cuisine classique francese, grazie a numerose pubblicazioni di sue opere gastronomiche nelle quali trattò ogni aspetto.
Alla fine del Settecento in Francia nasce il ristorante come s'intende oggi, ed è riconsiderata l'importanza del vino a tavola. L'epoca tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo può essere considerata il terzo grande periodo della gastronomia occidentale.
 Il primato della cucina francese perdura per tutto l'Ottocento fino alla metà del Novecento, toccando il culmine durante la Belle Epoque, agli inizi del Novecento.






Auguste Escoffier
1846-1935







Nascono i grandi alberghi e Ritz chiama Auguste Escoffier a organizzare il servizio ristorativo per una clientela esigentissima e numerosa. In questo periodo viene rivoluzionata l’organizzazione delle cucine con un’impostazione copiata alle brigate militari,  unità tattica dell’esercito francese; furono inoltre istituite nuove figure professionali: il maître, il sommelier, il commis de cuisine, lo chef de cuisine, lo chef de rang. Ricordo che Escoffier fu capocuoco al Quartier generale dell'Armata del Reno durante la guerra Franco–Prussiana nel 1870 (Auguste Escoffier Ricordi inediti – Slow   Food editore, 2008).
Con Escoffier la cucina abbandona le sovrastrutture artistiche, spesso non commestibili di Carême e diventa internazionale. 

Le ricette originali dei vari paesi sono reinterpretate e trattate con le tecniche della grande cucina, si escludono tutti i piatti che sembrano casalinghi e regionali, considerati grezzi e poco fini.



Continua con il  Capitolo IV