ASS. CULTURALE NO-PROFIT LIBERO GUSTO

martedì 21 settembre 2010

La storia in tavola - Guida alla cultura gastronomica nei tempi





Capitolo V

Il Novecento

"Lo Stregone", Magritte, 1953
I due filoni della cucina, quella di estrazione francese, perseguita nei ristoranti di lusso dei grandi alberghi, e quella di estrazione regionale nelle osterie, continuano a essere i soli stili proposti a un'esigua fila di avventori durante i primi anni del XX secolo. I valori della cucina borghese sono ancora prerogativa delle famiglie poco avvezze a consumare pasti al di fuori delle proprie mense. Proprio in quest'epoca si diffonde l'abitudine del pranzo "fuori casa", principalmente in bettole, osterie, trattorie e ristoranti, ambienti diversi tra loro per il livello di piatti, servizi e fruitori.


Le differenze sono sostanziali: le bettole sono ambienti malfamati, dove si serve vino e a volte cibi freddi.
L'osteria è più decorosa, il servizio del vino è quello centrale ma affiancato da una cucina che propone una certa varietà di piatti caldi. Naturalmente anche l'osteria non è ambiente di alto rango, il menù è composto da pochi piatti cambiati giornalmente, come zuppe, stufati, pasta e fagioli, trippa, o nei giorni di magro, baccalà, stoccafisso o acciughe. Il servizio è ai minimi livelli e se offre qualche camera per il pernotto, è definita locanda.
Durante i primi del Novecento, secondo le usanze diffuse nell'Italia centrale più che nel resto del paese, le osterie fanno il salto di qualità. Si trasformano in locali più decorosi poiché frequentati da famiglie e quindi avventori più esigenti in merito a servizio e menù proposti. Il miglioramento qualitativo permette il cambiamento anche del nome, diventeranno trattorie o, se di livello superiore, ristoranti.
Le trattorie raggiungono, durante il periodo fascista, il massimo della diffusione, poiché la politica nazionalista porta a un atteggiamento diffidente nei confronti dello stile culinario francese e all'esaltazione del sapore genuino del piatto piuttosto che al servizio e alle salse ricercate. Con il passare del tempo si consolida, anche nei ristoranti, lo stile artusiano basato sulle ricette tradizionali, sugli eccellenti prodotti del territorio compresi i vini, e su un servizio decoroso. È proposta una cucina più semplice che quella francese, con costi più bassi e più gustosa, la quale riscontrò un gran successo in ogni ceto sociale. Il libro di Ada Boni del 1929, Il Talismano della Felicità (Colombo editore, 1999), è testimonianza di tale cambiamento.

La cucina futurista italiana

Negli anni '30 nascono Il Manifesto della cucina futurista e Il Manifesto per un'arte cucinaria imperiale, basati su principi che tentano di caratterizzare la cucina italiana attraverso l'adozione di stili totalmente nuovi, molto simili a quelli sui quali sarà improntata la Nouvelle Cuisine. Le preparazioni devono essere divertenti, artistiche, saporite e poco costose, devono creare nuove fusioni di sapori utilizzando i prodotti importati dalle nuove colonie, come il dattero con le acciughe. Il manifesto propone un superamento della cucina tradizionale, l'introduzione di nuove vivande nelle ricette vecchie. Libera l'estro creativo dei professionisti nella preparazione dei piatti, nella compilazione dei menù e nella presentazione delle vivande. In sintesi, si tentava di promuovere un'alimentazione razionale e igienista per creare un'altra arte gastronomica con caratteristiche ben precise e che potesse rispecchiare l'Italia imperiale.
"È tempo di dichiarare l'arte cucinaria nobile ed attraente quanto la poesia, la musica e l'architettura, capace di creare armonie spirituali degne di ammirazione e suscettibili di infinite evoluzioni."
Si rivoluzionano il menù e la successione delle portate con l'antipasto, una minestra di riso (la pastasciutta va abolita perché calorica e ingrassante), il trittico fritto, bollito, arrosto, seguiti dal dolce, anticipando notevolmente la cucina destrutturata. Si anticipa anche la cucina fusion degli anni '60 con l'introduzione nelle ricette tradizionali di prodotti esotici, come datteri, banane, cacao e caffè.
Purtroppo la seconda guerra mondiale, la distruzione di gran parte del paese e la fame, porta all'abbandono della nuova arte cucinaria, nella quale erano presenti molti dei principi della nouvelle cuisine e di altre cucine del nuovo millennio, come quella d'autore, la fusion, l'artistica, la food design, la cucina cerebrale di Ferran Adrià.
Il panorama della ristorazione italiana, nel dopoguerra fino alla fine degli anni '50, era ancora una volta, retto dalla cucina d'impronta francese nei locali di lusso, dalla cucina regionale nelle trattorie- osterie e dalla cucina borghese, d'impronta artusiana, in pochissimi locali del territorio.

Per una lettura di approfondimento sul Manifesto della cucina Futurista clicca su LINK.

martedì 14 settembre 2010

Cous Cous Fest 2010 San Vito Lo Capo



Non potevamo non iscriverci al sito "Il Bloggatore". Una tra le migliori blogosfere che si possano trovare sulla rete. Gli amministratori, tra i quali non ci risparmiamo dal salutare Alessio, sono gentili, professionali e disponibili per qualsiasi chiarimento. Spediscono giornalmente, sulla posta elettronica dei propri iscritti, una ventina tra i titoli pubblicati e inseriti nelle varie sezioni tematiche, per creare una sorta di videogiornale e divulgare le ultime novità dai blogonauti. L'iscrizione è gratuita e i vantaggi in merito a visibilità non sono pochi rendendoci tutti "interconnessi".

San Vito Lo Capo è un comune costiero della provincia di Trapani, di quattromila anime passate, che vede il numero dei propri abitanti e visitatori salire vertiginosamente nel periodo estivo. È un luogo magnifico per la sua posizione geografica, per la bellezza paesaggistica e per la cura delle risorse turistiche, tanto da ricevere anche quest'anno, le cinque bandiere, massimo riconoscimento attribuito solo a dieci comuni in tutto il territorio nazionale, dalla "Guida Blu 2010" di Legambiente. Per essere più esaustivi in merito, tale riconoscimento è dato solo a quei comuni che investono i propri mezzi distinguendosi nella sostenibilità ambientale, nella raccolta differenziate dei rifiuti, nella gestione delle risorse idriche, nell'istituzione di aree pedonali, e non da meno nella tutela delle bellezze naturali, nel mantenimento della pulizia delle spiagge e nella qualità delle acque marine e dei fondali, quindi, il comune siciliano rientra tra le più gettonate località turistiche italiane.
Oltre alle bellezze naturali, San Vito Lo Capo offre un panorama enogastronomico di tutto rispetto, ospitando, ormai dal 1998, il "Cous Cous Fest", una rassegna internazionale culturale ed enogastronomica Mediterranea, dove gli chef di nove paesi, Italia, Francia, Marocco, Algeria, Tunisia, Costa d'Avorio, Senegal, Palestina e Israele, si cimentano nella preparazione del "cuscus" secondo le ricette della tradizione culinaria dei paesi d'origine. Quest'anno il festival si svolgerà dal 21 al 26 settembre e ospiterà una serie di altre manifestazioni che amplieranno l'interesse cultural - gastronomico dell'evento, come "Electrolux Exeprience", che vedrà confrontarsi in una competizione amichevole Pino Cuttaia, Corrado Assenza e Peppe Giuffrè. Tre nomi di tutto rispetto che s'impongono nel panorama della gastronomia siciliana grazie alla loro onesta professionalità.

Pino Cuttaia, due stelle Michelin, è il patron del ristorante "La Madia" di Licata (http://www.ristorantelamadia.it/index-ita.html);

Il pasticciere Corrado Assenza farà degustare alcune delle delizie del celebre Caffè Sicilia di Noto (http://www.infioratadinoto.it/caffesicilia.html);

Peppe Giuffrè, lo chef "artista" trapanese proporrà "le tre cucine siciliane": tre piatti, degustati in tre ore e accompagnati da tre musici baccanti (http://www.officinagastronomica.com/storia.php).


Inoltre, il Cous Cous Live Show, programma di musica e spettacoli, vedrà artisti, del calibro di: Sud Sound System, Daniele Silvestri, Carmen Consoli, Lello Analfino dei Tinturia, intrattenere i visitatori del festival con concerti serali totalmente gratuiti in piazza Santuario, per tutta la durata dell'evento.

Inseriamo il collegamento al sito ufficiale dell'evento per chi volesse approfondire ulteriormente. CLICCA QUI

Buona degustazione!!!!

sabato 11 settembre 2010

La storia in tavola - Guida alla cultura gastronomica nei tempi




Capitolo IV

Le cucine regionali italiane

Il mangiatore di fagioli - Annibale Carracci
1580-1590; Galleria Colonna, Roma 
L'Italia, durante il periodo Barocco del '600, aveva perduto la visione unitaria che aveva caratterizzato tutto il periodo rinascimentale. Le aree regionali, alcune assoggettate dalle grandi potenze straniere, altre isolate da ogni traffico commerciale, svilupparono tipici caratteri inerenti alla cucina popolare. Proprio le cucine popolari, con le loro oltre 70.000 ricette a noi pervenute, mantennero viva la tradizione gastronomica di tutta l'Italia anche se tenuta ai margini e completamente ignorata dai ceti alti. La gastronomia delle corti e dell'aristocrazia tutta era dominata dallo stile francese, come testimoniano i libri di quel periodo, colmi di francesismi. Durante la fine del XVII secolo, le divisioni politiche e le situazioni culturali ed economiche portarono alcuni territori regionali a molti cambiamenti, discostandosi progressivamente per molti aspetti, da quello che era stato fino a quel momento lo stile francese.
Tra il '700 e '800, con l'arrivo dei nuovi prodotti alimentari dall'America, quali patate, mais, pomodori, cacao, fagioli, tacchino, cioccolato, e molti altri, si consolidano le caratteristiche delle diverse cucine regionali italiane.

La cucina borghese italiana
Frontespizio del libro di
Pellegrino Artusi
Una terza cucina nacque nel XIX secolo (1800), che si sviluppò in modo rapido, affiancando la gastronomia professionale francese e la complessa cucina popolare. Due trattati gastronomici dell'epoca furono immagine delle trasformazioni sociali: "Trattato di cucina e pasticceria moderna" del cuoco di Casa Savoia Giovanni Vialardi, nel quale si trovavano le linee guida per una ristorazione aristocratica; "La Scienza in cucina e l'arte del saper mangiare" di Pellegrino Artusi, nel quale era riprodotta la nuova cucina borghese.
Artusi, cuoco per passione, raccoglie le ricette di alcune regioni italiane, le ripropone alle signore della borghesia trionfante, dando inizio così all'unificazione della cucina italiana, che avrà termine solo alla fine del Novecento. La nuova tendenza borghese rifiuta sia la cucina rurale perché considerata troppo grassa, rozza, dai sapori troppo marcati e volgari perché espressa in linguaggio dialettale; sia quella aristocratica perché schiava delle forme, troppo costosa, amante dei prodotti esotici, sfarzosa nei servizi e addobbi e che continua a soffrire di esterofilia con l'uso di termini francesi.
La cucina borghese si rivela una sintesi di entrambe le cucine, poiché assorbe l'amore per i prodotti tipici, per i gusti genuini e i costi di quella contadina e alcune tecniche professionali, la delicatezza nelle preparazioni, le regole di buona educazione a tavola, l'inserimento nei menu dei formaggi e dessert di quella aristocratica. Secondo Artusi la cucina deve essere delicata, signorile e fine. S'iniziano a scrivere i libri e i menù in lingua italiana. Il Novecento vedrà i natali della nuova ristorazione italiana, basata su una forte identità nazionale e su approfondimenti regionali.

Continua...

 

giovedì 9 settembre 2010

L'essenza della cucina Italiana vista da Anthony Bourdain


Questo è un articolo postato qualche tempo fa su "L'amore corrisposto...a volte" e che ritengo sia opportuno inserirlo nel contesto della "Loggia dei Gastronomi", dove è trattata, in modo più specifico, la letteratura gastronomica.
Una delle mie passioni è la lettura e smanettare su internet per informarmi sul mondo che altrimenti non potrei vedere in tempi così brevi (che meraviglia internet). Come dicevo, questa magnifica invenzione ci permette di essere i più temerari navigatori del cyberspazio ed esploratori alla scoperta di personalità lontane, ci permette di esporre idee, di condividere con chi ci segue le nostre esperienze, etc. La nostra fortuna è che abbiamo la possibilità, rispetto a tempi non troppo lontani, di approfondire i nostri interessi e nello stesso tempo interagire con le "entità" nascoste dietro immagini e pagine virtuali di siti diversi, comodamente seduti su qualche poltrona del nostro regno (possa essere un tugurio in un sottoscala o un castello non fa differenza, il nostro spazio è l'impero che possiamo governare a nostro piacimento). Potendo avere la possibilità di scelta, il mio tempo lo impiego si per il web, ma non mi privo di una sana lettura tradizionale. Quella che si effettua su libri fisici, fatti di sonora e profumata (per chi ama l'odore del petrolio altrimenti il termine sarebbe maleodorante) carta e inchiostro. Naturalmente le mie letture sono indirizzate verso quello che è il mio mondo, l'universo enogastronomico (non si finisce mai di imparare), con qualche capatina nel regno delle scienze e della letteratura classica, insomma un po' di tutto.
Mi sono imbattuto in un romanziere, chef e uomo di mondo (il connubio tra vizi e virtù è una caratteristica del personaggio in questione) Anthony Bourdain (http://www.anthonybourdain.net/) ed ho voluto leggere uno dei suoi romanzi, naturalmente dopo averlo acquistato, "Kitchen Confidenzial – Avventure gastronomiche a New York", forse perché, essendo anche io un po' "vissuto", leggendo la sua biografia si prospettavano divertenti ore di relax. Devo ammettere che è stato piacevole leggere il libro e mi ha fatto ancora più piacere leggere come uno chef di rango, abituato ad una cucina ricercata, potesse carpire, dopo anni di erronee credenze, la vera essenza della" nostra" cucina italiana. Cito testualmente dal suo romanzo:
"Dovevo ammettere che era una rivelazione . Una pasta al pomodoro, praticamente la cosa più semplice a cui si potesse pensare, pasta con salsa rossa, all'improvviso diventa qualcosa di straordinariamente bello ed emozionante. Tutto il cibo era semplice. E non intendo dire facile o banale. Voglio dire che per la prima volta nella mia vita vedevo come soli tre o quattro ingredienti, se freschi e della qualità migliore, potessero essere combinati in modo da dare un risultato eccellente e a tratti mirabile. Piatti casalinghi, campagnoli come zuppa di pane alla toscana, l'insalata di fagioli bianchi, i calamari alla griglia, il polipetto, i teneri carciofi novelli in olio d'oliva e aglio, un semplice sauté di fegato con cipolle caramellate, diventano immediatamente un'ispirazione, una novità. L'integrità, semplice e senza pretese, di tutto questo era un approccio inedito, diverso da tutte le salsine confezionate e dagli ingredienti esotici del mio recente passato".

Questa breve citazione è estrapolata dal capitolo intitolato: "PINO NOIR: INTERLUDIO TOSCANO" (pag. 165) e si riferisce all'esperienza professionale, essendo un romanzo autobiografico, che l'autore ha vissuto presso il ristorante newyorchese "Le Madri" del patron Pino Luongo (http://pinoluongo.wordpress.com/about/).


Dopo una gioventù dissipata, all'insegna di droghe e contestazione, Anthony Bourdain arriva quasi per caso nella cucina di un grande ristorante di New York e, facendo una lunga gavetta, diventa uno dei cuochi più famosi della metropoli. E' autore di due romanzi, "Bone in the Throat" e "Gone Bamboo", entrambi pubblicati negli Stati Uniti e in Gran Bretagna da Bloomsburry. Feltrinelli "Traveller" ha pubblicato anche "Il viaggio di un cuoco" (2004) e "Avventure agrodolci. Vizi e virtù del sottobosco culinario" (2006).

martedì 7 settembre 2010

Il Menù – Tecnica e pratica della ristorazione


Con questo articolo, tratto da alcuni testi didattici alberghieri, cerchiamo di essere utili per una maggiore consapevolezza di ciò che può essere la ristorazione. La cultura gastronomica affonda le proprie radici molto lontano nella storia, ed è proprio da questa che attingiamo il nostro sapere e le nostre pratiche quotidiane, al fine di migliorare continuamente. Ad maiora semper!!






Breve storia del menù

Menù del 1889
Il termine menù è di origine francese e, prima di entrare nel linguaggio corrente, in Italia, ha incontrato notevoli resistenze. Addirittura, alla fine del XIX secolo, si svolse un referendum tra esperti del settore al fine di imporre un'alternativa italiana, non ottenendo però alcun risultato.
L'uso di predisporre una sequenza ordinata delle portate è un'abitudine molto antica. Già nel '300 vi fu la prima pubblicazione nella quale si trattava tale tema, Il Saporetto di Simone Prudenziani. Nel XV secolo, Bartolomeo Sacchi detto il Platina, con il suo De honesta voluptate et valetudine, suggerisce che cosa mangiare nella prima, seconda e terza mensa, con l'aggiunta di cosa serva per "sigillar lo stomaco".
Nel trattato Dello Scalco di Giovan Battista Rossetti (1584), oltre le liste delle vivande, sono presentate le liste stagionali, settimanali sia per i vari giorni della settimana, sia per le ricorrenze civili e religiose. Dalla fine del '800, i ristoratori iniziarono a distribuire cartoncini che riportavano le vivande della giornata. Con il tempo tali cartoncini furono rivisitati e presentati in armonia con la tipologia del locale, acquisendo un aspetto più curato. Predisporre un menù accattivante, come economicamente vantaggioso, è difficile e impegnativo. Il grande Escoffier (1847-1935) rilevava questa difficoltà, nel suo "Libro dei Menù" del 1912, e sottolineava la necessità di trovare un giusto equilibrio tra la disponibilità dei prodotti e la specialità del locale, di rinnovarsi senza trascurare le esigenze degli avventori abituali, di offrire sempre varianti a seconda del gusto e delle voglie di ciascuno.

Menù e lista delle vivande

Menù del 1894
Riferendoci al menù indichiamo sia l'elenco delle portate di cui è composto un pasto, sia il cartoncino con l'elenco dei piatti.
La lista delle vivande è invece l'insieme di tutti i piatti tra i quali il cliente può scegliere; può anche essere chiamata la carta delle vivande e, in caso di liste particolarmente ampie e ricche, assume il nome di "grande carte". Inoltre, a differenza del menù, la lista delle vivande riporta informazioni più dettagliate inerenti il prezzo, l'eventuale utilizzo di prodotti surgelati, i tempi di preparazione di piatti particolarmente elaborati, i piatti venduti a peso e non a porzione, ecc.
Le preparazioni si presentano suddivise per gruppi, secondo un ordine che va dal più leggero al più pesante.
Sfatiamo quindi, secondo le norme della ristorazione alberghiera, il luogo comune di usare impropriamente il termine "menù" come sinonimo di lista.

Le regole classiche

Quando si compila un menù si devono tener presente le regole classiche di successione di piatti. La storia ci ha tramandato il racconto di pranzi composti di un numero incredibile di portate differenti; oggi si preferisce un menù più semplice, con un numero ridotto di portate. Generalmente si segue il principio ascendente: prima si servono i piatti più leggeri sino ad arrivare a quelli più impegnativi.
Le regole fondamentali di una sequenza classica di vivande sono:
  • Un menù per un lunch non ammette brodi o minestre;
  • Un menù per dinner non può iniziare con un antipasto freddo, salvo che non si tratti di caviale, salmone, pesce affumicato, ostriche, cocktail di crostacei, o frutta;
  • Si può aprire un dinner con preparazioni fredde come mousse e terrine, che devono essere seguite da un brodo, consommé o minestra in brodo;
  • Una salsa bianca deve precedere una bruna;
  • Un piatto di riso precede sempre uno di farinacei;
  • Le carni bianche vanno servite prima delle rosse;
  • I piatti freddi precedono quelli caldi;
  • Un pesce bianco precede preparazioni di quelli salsati o grigliati;
  • Non bisogna mai ripetere la stessa cottura nemmeno per prodotti diversi;
  • Non si può utilizzare due volte lo stesso prodotto, fatta eccezione per funghi e tartufi;
  • I contorni devono essere sempre abbinati al piatto;
  • I contorni freddi vanno serviti a parte e quelli caldi nello stesso piatto della portata calda;
  • Le porzioni vanno adeguate al numero delle portate;
  • Il menù deve accordarsi alla stagione in cui è servito.







Oltre a rispettare queste regole, quando si compila un menù è necessario esprimersi con proprietà, evitando errori di ortografia e seguendo queste semplici regole:
  • La parola "posta" a inizio riga va scritta con la lettera maiuscola e seguendo con le minuscole (esempio Arrosto di vitello);
  • Se la porzione è composta di diversi pezzi, va usato il plurale (esempio Bocconcini di vitello);
  • Per la carne va specificata la tipologia del prodotto (esempio Stufato di maiale);
  • se si sono usate bevande o alimenti di marca, questi vanno citati e trascritti nel menù con lettera maiuscola (esempio Brasato con riduzione di Sangiovese ).
  • Nel limite del possibile, è bene non utilizzare nomi di fantasia, e comunque non usare la stessa dicitura per più piatti (esempio Risotto alla Milanese e Cotoletta alla Milanese);
  • Non vanno mai tradotte le diciture classiche (esempio Carré di vitello principe Orloff);
  • È opportuno evitare l'uso di «al», «alla», «alla moda di», «stile»;
  • È importante cercare di essere sempre chiari e precisi evitando di usare diciture troppo lunghe;
  • Le varie portate vanno suddivise con un elemento grafico;
  • Quando l'abbinamento vino è già predisposto, va segnalato nel menù, specificando nome, annata, cantina e zona di produzione;
  • Il menù, come la lista delle vivande, dovrà essere sempre in ordine, pulito e senza correzioni.

La successione delle portate



Menù del 1896

Esiste una corretta successione dei piatti che occorre tener presente nella costruzione del menù. Rispetto al passato, il numero dei piatti che compone un menù è drasticamente diminuito fino a un numero di 3-4 portate.
L'ordine generalmente seguito, secondo una moderna concezione di servizio, prevede:




  • Antipasto freddo;
  • Minestre brodose (prima la chiara, poi la legata);
  • Primo asciutto (prima quello con pesce, poi quello con carne; prima quello più delicato, poi quello più saporito);
  • Piatto di mezzo;
  • Piatto principale;
  • Arrosto o entrata di carne;
  • Entrata fredda;
  • Contorni e insalate;
  • Dessert (prima il formaggio, poi il dolce e infine la frutta).







Per quanto riguarda il dessert, il dolce può essere invertito con la frutta, servendolo per ultimo, come ci insegnavano gli antichi con la locuzione latina "Dulcis in fundo".

Le diverse tipologie di menù

Il menù è cambiato periodicamente e adattato alle richieste della clientela, alle occasioni di consumo, ai prodotti alimentari disponibili e al miglior prezzo secondo l'andamento della stagione e del mercato.
In base alla tipologia di locale o di evento è necessaria la compilazione di un menù appropriato.
Le caratteristiche sono:

Menù del giorno: è quello che cambia giornalmente programmato di solito il giorno precedente. È il menù tipico degli alberghi caratterizzati da soggiorni lunghi, oppure può essere «la proposta del giorno» di un ristorante, inserita all'interno della carta. Questo tipo di menù dovrà fare attenzione a proporre una certa varietà di piatti e a non ripetersi sia nell'uso dei prodotti, sia nella scelta dei piatti. Poter programmare un menù giornaliero permette di usare le merci già presenti nei magazzini, di far fronte a richieste specifiche del cliente, di fronteggiare situazioni di emergenza all'ultimo momento (esempio il cattivo funzionamento di qualche attrezzatura, malattia del personale).

Menù ciclico: è quello programmato con anticipo che si ripete dopo un periodo prestabilito. È adottato in ristornati frequentati da un turismo di massa, nelle refezioni e nelle mense. Presenta il vantaggio di un "costo pasto" basso e permette di cambiare dei piatti fra un menù e l'altro, quando sul mercato ci sono offerte particolarmente convenienti di certi prodotti. Il cliente non ha grandi possibilità di scelta, se desidera fare qualche variazione dovrà comunicarlo con un certo anticipo.

Menù à la carte: è la tipologia di menù più comune in ristornati commerciali o negli alberghi di lusso, ed è strutturato secondo le regole classiche. Tale menù è concordato con il maître, poiché sarà il personale addetto al servizio che dovrà vendere i piatti alla clientela. All'interno di questo menù, dove i prezzi sono generalmente alti, in quanto comporta una spesa ingente per la manodopera e per le materie prime, si può trovare un menù fisso, generalmente indicato con «lo chef consiglia» in cui, a un prezzo competitivo, è offerta una scelta fissa dei piatti ricavata dalla lista. Per contro, il cliente riceve un servizio vario e qualificato, con la possibilità di comporre il menù a propria discrezione.

Menù à la grande carte: questo tipo di menù è presente negli alberghi e ristoranti di lusso di particolare prestigio. La preparazione dei piatti contenuti in questa carta, prevede l'uso di prodotti costosi e pregiati, per offrire una scelta veramente ampia, in grado si soddisfare i clienti più esigenti. Questo comporta la presenza di uno staff sia di cucina, sia di sala, numeroso e altamente preparato, determinando così un prezzo di vendita dei piatti elevato.

Menù turistico: è la classica proposta del giorno a prezzo fisso e si può trovare nei ristoranti commerciali medio-popolari situati in località di forte richiamo turistico. Il prezzo fisso comprende generalmente bevande e una serie di portate limitate. Questo menù, generalmente esposto all'esterno del locale, può essere affiancato anche da una carta con proposte diverse.

Menù per banchetti: questo tipo di menù viene comunemente fissato con grande anticipo, concordando la composizione, il costo, il numero dei coperti, e prezzo al tipo di servizio richiesto. Il cliente può scegliere tra un ventaglio di menù elaborati dal direttore e dallo chef per questi eventi che sono generalmente matrimoni, ricorrenze familiari, galà, cene congressuali, ecc... Questo tipo di menù rappresenta la situazione ottimale di lavoro, dato che viene programmato e gestito tutto in anticipo. La preparazione di un banchetto richiede un notevole impegno.

Menù degustazione: è un tipo di menù che sta avendo un enorme successo. È proposto in una formula fissa, cambiata periodicamente ed è inserito all'interno della carta. Può essere composto di una ristretta selezione di offerte inserite nella carta o da piatti del tutto nuovi. Può comprendere anche l'abbinamento con i vini o lasciare la scelta al cliente tra le proposte della cantina. Il "menù degustazione" permette di offrire al cliente più proposte a un prezzo più vantaggioso; sotto il profilo organizzativo, invece, dà la possibilità agli addetti di quantificare con anticipo le materie prime necessarie e di avvantaggiarsi sulle preparazioni di base. Il menù degustazione, presentato come «il meglio» del locale, è molto apprezzato dalla clientela sia per il prezzo, sia per eliminare l'imbarazzo della scelta tra un elenco piuttosto esteso.




sabato 4 settembre 2010

La storia in tavola - Guida alla cultura gastronomica nei tempi

Capitolo III


Il modello Barocco






Ragazzi che mangiano meloni e uva
Bartolomé Esteban Peréz Murillo
1645-1655, Alte Pinakothek, Monaco
La gastronomia italiana, dopo aver toccato il suo massimo splendore con lo Scappi nel XVI secolo, si piega su se stessa nel XVII secolo. Durante tale periodo anche il gusto è anteposto dalla rappresentazione spettacolare con trionfi e costruzioni architettoniche. Il cuoco, come figura professionale centrale delle corti, passa al servizio dello Scalco, una figura che può essere paragonata a quelle moderne del maggiordomo ed economo, autore di rappresentazioni culinarie barocche e di spettacoli durante i banchetti. Lo zucchero, già abbondantemente presente nei pasti dei due secoli precedenti, diviene ancor più invadente e presente su ogni preparazione, accompagnato da nuovi profumi e spezie, quali ambra e muschio. Solo l'opera di Bartolomeo Stefani, L'arte di ben cucinare del 1662, avrà qualche traduzione all'estero. In esso scompaiono i piatti di tipica provenienza italiana, quali lasagne, cappelletti, maccheroni; l'uso dello zucchero e delle spezie diviene sfacciato; compaiono salse d'ideazione francese a base di latte, uova, burro e farina stemperate nel vino e non più nell'aceto o agresto. 
L'ultima opera letteraria della grande tradizione rinascimentale barocca è "Lo scalco alla moderna" di Antonio Latini, marchigiano di origine ma scalco del Regno di Napoli. Questo sommario tra la scuola di cucina e scalcheria e le forti influenze spagnole, ha ancora una visione unitaria della cucina italiana, con piatti di alcune regioni, fra cui quello del nord, chiamati alla lombarda. Per la prima volta compaiono ricette con i prodotti importati dalle Americhe, carni stufate con pomodori passati prima sulla brace, salsa di pomodoro e peperoni alla spagnola, dolci al cioccolato a fine pasto. Alla corte di Luigi XIV, in Francia, inizia quel processo che rivoluzionerà nel secolo successivo i gusti e le tecniche della gastronomia europea. 
Inerente al periodo in questione, il XVII secolo, è stato realizzato un film, del quale consiglio la visione per una più specifica cognizione del livello gastronomico raggiunto, che ripercorre le ultime fasi della vita di François Vatel, cuoco francese e Maestro di cerimonie a servizio di Luigi II di Borbone – Condé, principe di Condé presso il castello di Chantilly, in onore del quale creò la famosa crema chantilly. Il film è "Vatel" del 2000, diretto da Roland Joffé e interpretato da Gérarde Depardieu, Uma Thurman, Tim Roth.


I modelli gastronomici protestanti

Nell'Europa cattolica, durante il XVI secolo, avvennero profonde fratture religiose, che portarono alla Riforma protestante, dopo la quale sia i popoli anglosassoni e parte di quelli germanici realizzarono un nuovo modello di società influenzato in ogni suo aspetto, compreso quello della tavola, dai severi valori religiosi. Nell'Europa e nell'America calvinista e protestante si osservavano scrupolosamente gli insegnamenti e le prescrizioni della Bibbia, compreso quello di non commettere peccati di gola, considerati capitali. In questo periodo, soprattutto in America, è stata elaborata una cucina parca, essenziale, nutriente ma priva di fantasia, di raffinatezze o compiacenze considerate peccaminose. I libri di cucina scritti erano principalmente per opera di casalinghe, con il solo obiettivo di dare crema Consigli e suggerimenti per ottenere una cucina sana e poco costosa.


Il primato francese e la rivoluzione del gusto

Frontespizio del libro di La Varenne
Nel libro Le Cuisinier François, opera di La Varenne del 1651, sono descritte le tecniche rivoluzionarie che influenzeranno la nostra cucina. La Varenne semplifica la cucina barocca, alleggerisce le porzioni e i piatti, li raggruppa per sapori omogenei e diminuisce il numero dei servizi. Lo zucchero è esiliato al solo uso della pasticceria mentre le spezie restano, le salse a base acida convivono con quelle nuove a base grassa e compaiono elementi fondamentali della cucina francese, come fondi e riduzioni di carni e verdure.
Nel XVIII secolo, il processo iniziato in quello precedente giunge a maturazione. Alla corte di Luigi XV i nobili spendono cifre impressionanti per accaparrarsi i servizi dei migliori cuochi, si cimentano anch'essi dietro ai fuochi e attribuiscono il proprio nome a diverse preparazioni, mentre gli intellettuali illuministi discutono di gastronomia con la serietà con sui dissertano di filosofia, politica ed economia, proprio come accadeva nel periodo di Confucio in Cina, nel periodo imperiale romano e nel Rinascimento italiano. 
Le salse a base acida scompaiono quasi del tutto lasciando spazio alle nuove salse a base grassa stemperate nello Champagne. Sono largamente utilizzati i fondi di cottura scuri e biondi, i rosolati, le combinazioni tra rosolati e basi, le riduzioni del vino, le glasse e demi-glasse. La gastronomia si perfeziona raffinandosi ulteriormente, diviene più misurata, rispecchia ciò che è la filosofia dei lumi emulando in parte la leggerezza cinese con molte portate e poco cibo.
Questa nuova gastronomia influenza tutte le corti europee, così com'era avvenuto nel Cinquecento per quella italiana, ma solo in Italia e parzialmente in Spagna sarà decisiva sul cambiamento del gusto. In particolare, la separazione dei sapori dolce, acido e salato, e la quasi eliminazione delle spezie, saranno le caratteristiche delle cucine italiana, francese e iberica. Le impronte medievali, con l'agrodolce-speziato, rimarranno nei paesi divenuti protestanti, più refrattari ad accogliere la nuova tendenza culinaria francese raffinata e costosa, come in Inghilterra, Paesi Scandinavi, Olanda e America.

Marie Antoine Carême
1784 -1833
La cucina francese raggiunge la sua massima espressione, tra la fine del Settecento e gli inizi dell'Ottocento, con Marie - Antoine Carême, che completa il processo di alleggerimento della cucina e dei servizi. Per Carême la professione del cuoco era una forma d'arte, costruita con creatività, passione e perfezionismo. Fu definito l'architetto, per le costruzioni mirabolanti con cui presentava i cibi, il Raffaello della cucina per le composizioni cromatiche dei piatti, il re dei cuochi e il cuoco dei re. Fu considerato il padre della grande cuisine, o cuisine classique francese, grazie a numerose pubblicazioni di sue opere gastronomiche nelle quali trattò ogni aspetto.
Alla fine del Settecento in Francia nasce il ristorante come s'intende oggi, ed è riconsiderata l'importanza del vino a tavola. L'epoca tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo può essere considerata il terzo grande periodo della gastronomia occidentale.
 Il primato della cucina francese perdura per tutto l'Ottocento fino alla metà del Novecento, toccando il culmine durante la Belle Epoque, agli inizi del Novecento.






Auguste Escoffier
1846-1935







Nascono i grandi alberghi e Ritz chiama Auguste Escoffier a organizzare il servizio ristorativo per una clientela esigentissima e numerosa. In questo periodo viene rivoluzionata l’organizzazione delle cucine con un’impostazione copiata alle brigate militari,  unità tattica dell’esercito francese; furono inoltre istituite nuove figure professionali: il maître, il sommelier, il commis de cuisine, lo chef de cuisine, lo chef de rang. Ricordo che Escoffier fu capocuoco al Quartier generale dell'Armata del Reno durante la guerra Franco–Prussiana nel 1870 (Auguste Escoffier Ricordi inediti – Slow   Food editore, 2008).
Con Escoffier la cucina abbandona le sovrastrutture artistiche, spesso non commestibili di Carême e diventa internazionale. 

Le ricette originali dei vari paesi sono reinterpretate e trattate con le tecniche della grande cucina, si escludono tutti i piatti che sembrano casalinghi e regionali, considerati grezzi e poco fini.



Continua con il  Capitolo IV 

mercoledì 1 settembre 2010

VIII Congresso Nazionale di Chimica degli Alimenti

Antico mulino delle saline situato sullo Stagnone - Marsala
Un evento difficile da perdere è il Congresso Nazionale di Chimica degli Alimenti che si terrà a Marsala (TP), naturalmente nella bellissima Sicilia, dal 20 al 24 settembre 2010.
Marsala, dalla origini antichissime, è una tra le tante  bellissime città della Sicilia, carica di cultura, di bellezze paesaggistiche, architettoniche  , gastronomiche ed enologiche, testimonianze delle diverse dominazioni che sono seguite nel corso dei millenni. Il suo nome deriva dall'arabo Marsa-Allah (Porto di Dio) e conserva tutt'oggi segni distintivi  della dominazione musulmana. Altre dominazioni furono quelle dei Normanni, che lasciarono la loro impronta sulle genti (non è difficile incontrare donne di statura alta, dai capelli biondi e dagli occhi di un azzurro splendido), degli Angioini,  degli Aragonesi , degli Spagnoli e prima di essi ancora moltissime dominazioni, ognuna delle quali lasciò la propria traccia. Non si deve dimenticare che l'Unità d'Italia iniziò proprio qui con lo sbarco dei Mille, per proseguire poi verso il resto del Paese.
Marsala - Cattedrale in stile Barocco
dedicata a S. Tommaso di Canterbury
Il congresso verterà sui principali ambiti della chimica degli alimenti legati alla definizione di qualità e tipicità degli alimenti Mediterranei. Nell'ambito di tali tematiche, si darà particolare risalto ai contributi scientifici inerenti le seguenti linee:

  • Aspetti compositivi
  • Contaminazione e rischio tossicologico
  • Tecniche innovative di analisi
  • Tracciabilità e rintracciabilità 
  • Aspetti salutistici dell'Alimentazione Mediterranea
Il congresso sarà inoltre sede di tavole rotonde interdisciplinari che coinvolgeranno Medici, Agronomi ed Economisti, allo scopo di tracciare le linee guida per uno sviluppo più sostenibile nel settore agroalimentare. Insomma, prenderanno voce i nostri esperti nazionali per una più sana alimentazione e una migliore sostenibilità.
Per chi fosse interessato ad ulteriori informazioni, ci si può collegare direttamente al sito in oggetto cliccando su questo Link.

La storia in tavola - Guida alla cultura gastronomica nei tempi




Capitolo II



Il modello della cucina cortese.

Les très riches heures du Duc de Berry
1413-16 circa - miniatura dei fratelli Limbourg
Musée Condé di Chantilly
Attraverso il Medio Evo, il Rinascimento e il Barocco, la cucina si evolve e si differenzia tanto da creare i due filoni ancora oggi apprezzati e considerati i capisaldi della cucina mondiale, il filone francese e quello italiano.
Il medioevo vede lo sviluppo di una cucina abbastanza omogenea e unitaria, sia popolare sia professionale, grazie alla tradizione romana, all'influenza della Chiesa Cattolica e alla diffusione dalla Provenza della civiltà cortese. Nata nelle corti e nei castelli esprime un nuovo stile di poesia, letteratura, architettura e arte in genere. Arriva anche in cucina e in tavola, dove, dopo un periodo barbarico, si seguono comportamenti più raffinati.
I caratteri della gastronomia europea medievale sono la somma dei sapori, la mescolanza di dolce e salato, l'uso abbondante delle spezie, anche sulla base di prescrizioni mediche e, poiché costosissime, assumevano il significato di status-symbol. Diffuso era anche l'uso di salse a base acida che prendevano il nome dal loro colore, come la camellina da quello del manto del cammello e che vedeva mandorle, uva passa, cannella, chiodi di garofano e mollica stemperati nell'agresto, utilizzata per tutti i piatti. La salsa bianca con mandorle pulite, mollica di pane, agresto e zenzero utilizzata per carni lessate e piatti di magro. La salsa verde, l'unica ad essere arrivata ai giorni nostri, composta da prezzemolo, chiodi di garofano, zenzero, cannella, sale e aceto, utilizzata per carni lessate e ovine. Le spezie erano preparate in miscugli con specifiche dosi dettate sia dalle prescrizioni mediche sia dai gusti personali, come si riscontra in alcuni testi letterari dell'epoca: Fini, preparata con un'oncia di pepe nero, una di cannella e una di zenzero, un quarto di oncia di chiodi di garofano e un quarto di zafferano, utilizzata per tutti i piatti; Dolci, preparata con un'oncia di cannella e una di zenzero, un quarto di oncia di chiodi di garofano e lauro indiano non meglio quantificato, utilizzata per pesci in crosta e brodi; Nere, preparata con due once di pepe, mezzo quarto di oncia di chiodi di garofano e due di noce moscata, utilizzata per tutti i sapori forti.
La Chiesa Cattolica, i cui diktat alimentari erano rigorosamente seguiti nei paesi cattolici, non proibiva alcun alimento, ma imponeva il loro consumo al calendario liturgico, con giorni di magro, nei quali non si potevano consumare carni e grassi animali, e altri di grasso, durante i quali poteva essere mangiato di tutto.


Il modello rinascimentale



Frontespizio del libro "Opera"

di Bartolomeo Scappi
Durante il Rinascimento, la gastronomia Italiana diviene modello per tutta l'Europa, sulla scia del primato culturale, artistico ed economico. Essa è dominata dagli aromi forti delle spezie, dal gusto acido delle salse e da quello dello zucchero sparso in tutti i piatti. Il "Libro de arte coquinaria" di Martino da Como, dimostra come nella seconda metà del XV secolo la gastronomia avesse fatto un salto di qualità rispetto a quella cortese precedente, con innovazioni nella terminologia usata non più araba, con la presenza della prime ricette di pasta all'uovo come vermicelli, ravioli, maccheroni romaneschi, e di pasta secca come i maccheroni siciliani, inoltre l'uso più discreto di salse a base acida e spezie e con la rivalorizzazione delle erbe aromatiche di antica tradizione romana, come lauro, salvia, menta, maggiorana, finocchio e rosmarino. La sua cucina possiede le tecniche professionali e i principi della grande gastronomia, con schemi metodologici basati sulle singole operazioni e sulle cotture preliminari, per arrivare a quelle complessive e alle presentazioni artistiche dei piatti.

È grazie all'erudito bibliotecario pontificio Bartolomeo Scacchi detto il Platina, che le ricette di maestro Martino saranno conosciute in tutta Europa, per mezzo del primo libro di gastronomia stampato e non manoscritto, "De honesta voluptade et valetudine", pubblicato a Roma nel 1474 e tradotto per 150 anni in tutti i paesi europei. Il primato gastronomico italiano si consolida, durante il XV secolo, grazie ad una serie di cuochi, scalchi e trincianti, tra i quali spicca Bartolomeo Scappi e a cui è attribuita la modernizzazione della cucina italiana. Il suo "Opera", del 1570, è uno dei più importanti testi di cucina, nel quale si trovano più di mille ricette con tagliatelle, gnocchi, ravioli, agnolini, cappelletti, frittate con tartufi, melanzane simili all'attuale parmigiana, crostate, confetti, canditi ed altre ricette che costituiranno la base della cucina italiana dei giorni nostri.


Frontespizio de "Lo Scalco"
di Giovan Battista Rossetti
Il secolo d'oro della cucina italiana è caratterizzato da altri cuochi, artefici d'importanti pubblicazioni, come Giovanni de Rosselli, Mastro Giovane, Cristoforo da Messisbuco, Vincenzo Cervio. Nella pubblicazione "Lo Scalco" di Giovan Battista Rossetti, Ferrara 1584, è descritta anche la logica delle portate del banchetto, ossia l'ordine di servizio: antipasti freddi, carni bollite e poi quelle arrostite, verdure, formaggi, frutta e dolci. Il Rossetti stabilisce, con questa sua opera, quello che sarà inizialmente il servizio all'italiana, divenuto nei secoli successivi alla francese, ed inoltre pubblica per la prima volta la ricetta del torrone di Cremona; l'uso di servire il parmigiano a pezzetti, oltre che grattugiato sulla pasta come si era sempre fatto; descrive le funzioni del Canovaro, addetto alla gestione e conservazione dei vini nelle cantine; descrive la figura del sommelier dell'epoca, il Bottigliere, addetto all'abbinamento cibo-vino il quale prelevava il vino dalle cantine e lo disponeva all'interno di recipienti contenenti neve ed acqua.
La divisione dell'Italia in piccoli staterelli era unita da alcuni importanti elementi come la lingua italiana, detta "il toscano", che sostituiva il latino nella letteratura, nella diplomazia, nelle scienze, nelle arti e nella gastronomia, la quale attingeva le materie prime e le ricette da ogni luogo.
Il Rinascimento è considerato il secondo grande periodo dell'Enogastronomia occidentale.


Continua con il  Capitolo III

La storia in tavola - Guida alla cultura gastronomica nei tempi



Capitolo I








Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio,
"Bacchino malato" (1593-1594)
Galleria Borghese, Roma

Mi accingo a iniziare quest'avventura, consapevole del fatto che sarà per nulla facile, con lo spirito in linea e in piena armonia alla passione e interessi che mi accomunano come individuo con un insieme di amanti gastronomi.
Con il termine gastronomia non ci si riferisce più al termine letterale della scienza che regola le funzioni dello stomaco, ma, ormai da diversi secoli, indichiamo con tale espressione la disciplina che tratta gli aspetti tecnici, culturali e artistici nel confezionare i piatti e tutto ciò che riguarda la tavola, la mise-en-place della stessa, l'evoluzione del gusto, e il galateo inteso come "buone maniere".
Per l'uomo l'alimentazione è un fatto fisiologico e naturale, ma è anche storia, cultura, tradizioni, credenze, tabù e superstizioni. L'evoluzione dell'uomo ha portato di conseguenza anche quella del cibo con la nascita della cucina prima e della gastronomia poi, portando notevoli cambiamenti nella preparazione dei cibi, in nuove tecniche professionali alle quali sono state riconosciute qualità internazionali e innovative sia per le ricette sia per gli utensili. L'evoluzione delle nostre abitudini ci ha portato ultimamente a usare un nuovo termine, "enogastronomia", che coinvolge il vino, considerato da millenni uno dei miglior esaltatori del cibo, all'alimento.


I modelli gastronomici sono stati e continuano ed essere espressioni caratteristiche di grandi civiltà, anche se solo pochissimi ricettari sono giunti fino a noi.


Tavoletta mesopotamica con la
caratteristica scrittura cuneiforme
Il ritrovamento di numerose tavolette di argilla ha dimostrato come esistesse una complessa ed evoluta gastronomia più di 4000 anni or sono nella fertile Mezza Luna, attribuibile all'antica Mesopotamia. Si preparavano più di 300 tipi di pane. Erano apprezzati frutti come il cocco, mele, pere, fichi, melograni, uva, funghi, tartufi, olive, ed erbe aromatiche. Le carni consumate erano suine, ovine, di animali da cortile, selvaggina, pesci di mare e di acqua dolce, crostacei e molluschi. Erano preparati alcuni insaccati e almeno 20 tipi di formaggi differenti. Erano usati quotidianamente grassi da condimento quali strutto e olio di sesamo, ma il più usato e che si ritrova ancora oggi nelle abitudini alimentari arabo-turche, era un soffritto di cipolla, aglio e porro. Erano usati per arricchire il gusto delle vivande miele, diverse salse e sale. La bevanda più consumata era una sorta di birra, mentre il vino, che veniva dalle terre del Nord, Nord-Ovest, zone caucasiche scampate alle ultime glaciazioni, era molto costoso. Solo i ceti più abbienti e i sacerdoti potevano permetterselo. La cultura Mesopotamica conosceva le tecniche della riduzione e concentrazione dei sapori. La cucina di corte dell'impero assiro-babilonese può essere considerata la prima enogastronomia del pianeta. Da allora, due concezioni culinarie proseguiranno in parallelo: da una parte la costosa gastronomia dell'elite basata sulle tecniche professionali e sulla creatività dei cuochi, dall'altra la cucina popolare incentrata sui prodotti del territorio e sull'esperienza delle ricette.


L'alimentazione degli Egizi, Fenici, Ittiti ed Ebrei, 4000 anni fa, o meglio quella dei ceti più ricchi, si basava su cereali, ortaggi, latticini, ovini, pesci, frutta, birra e vino per come ci perviene dalle raffigurazioni murali e i ritrovamenti di resti di cibo nelle tombe. Le ricette erano trascritte da medici e sacerdoti che però omettevano le tecniche di preparazione, il che fa pensare ad una cucina non particolarmente elaborata e raffinata.



Tavola raffigurante un mandarino cinese
Una grande gastronomia giunta fino ai nostri giorni quasi del tutto intatta è quella mandarina cinese, basata su rigide tecniche di preparazione, mentre è molto elastica rispetto agli ingredienti. Altra caratteristica distintiva è l'alternanza dei sapori, le regola delle molte portate con piccole porzioni e il principio dei piatti preparati prima per essere ammirati e poi per essere gustati. Il miracolo che ha permesso al modello mandarino cinese di giungere fino ai nostri giorni è appunto l'esistenza di una letteratura gastronomica per merito dei funzionari statali, per l'appunto i mandarini, che erano scrittori, poeti e buongustai, i quali inventarono anche molte ricette. L'alta cucina cinese è, infatti, chiamata imperiale o mandarina ed ha influenzato tutte le cucine dell'Estremo Oriente.


Grazie a molti testi letterari diverse ricette e descrizioni di mense ci sono pervenute, soprattutto dalla Magna Grecia, informandoci sulle abitudini degli antichi Greci e di tutti i popoli del mediterraneo dal IV secolo a. C.. Archestrato di Gela ha lasciato alcune ricette di pesce cotto al forno all'uso siciliano, sulla brace, fritto e bollito. Per friggere e soprattutto per condire si usava l'olio d'oliva oltre che all'aceto, sale, erbe aromatiche e formaggi. Le cotture, brevi e semplici, ci fanno pensare ad una cucina sana e saporita indirizzata all'eccellenza territoriale, simile a quella tradizionale dell'Italia meridionale.


Apicio, intorno alla metà del I secolo d.C., scrive il "De Re Coquinaria", ampliata in intorno al IV secolo, descrivendo minuziosamente la grande enogastronomia romana del periodo imperiale. Piatti di animali provenienti da Africa, Europa, Medio ed Estremo Oriente come gru, beccafichi, colombi selvatici, struzzi, fenicotteri e pappagalli erano presentati nei menù dei patrizi romani. Amanti dei prodotti tipici, i Romani si rifornivano di rombi a Ravenna e ad Ancona, triglie in Spagna, spigole in Turchia, tartufi in Marocco, spezie in India e molti altri prodotti da altrettanti luoghi. Nel periodo Imperiale la frugalità della cucina repubblicana era ormai divenuta un lontano ricordo. I condimenti usati erano il "defritum", mosto cotto antenato del nostro aceto balsamico e il liquamen o "garum", salsa preparata con pesci e interiora degli stessi macerati sotto sale, oltre a diverse salse legate con farina. Piatti di pasta, lagane simili alle lasagne moderne, insaccati (lucaniche), crostoni di fegatini, piatti di cervella appena scottate, polli preparati in diverse maniere, lepri ripiene, ovini cotti nei più svariati modi, maialini in porchetta, pesci rari, ostriche e frutti di mare imbandivano le tavole dei triclini, e il tutto era innaffiato con vini più o meno aromatizzati. La spezia più usata era il pepe, molto più raro lo zenzero, mentre lo zafferano e la cannella erano usati molto più dalle donne come cosmetici assieme al burro. Contrariamente a quanto si pensi, i Romani amavano molto i vegetali e le erbe aromatiche, il grasso più impiegato era l'olio d'oliva che Apicio distingue in buono e in verde, quest'ultimo più pregiato e prodotto con olive raccolte anticipatamente. Le regoli di tale gastronomia erano la somma di molti sapori e la mescolanza di dolce e salato, l'uso abbondante di erbe aromatiche e di salse a base acida stemperate in aceto o agresto, succo di uva acerba schiacciata e aromatizzata, oltre a quelle prodotte con pesci di mare o addizionate di sale, miele e mosto cotto come dolcificanti.
Il vino era servito dai sommelier dell'epoca, gli "haustatores", che hanno lasciato un decalogo sulla tecnica della degustazione. Si può parlare di una gastronomia ricercata ed evoluta tanto da influenzare la cucina basso-medievale europea e quella araba. Il I secolo d.C. può essere considerato il primo grande periodo dell'enogastronomia occidentale.


La gastronomia araba prende sicuramente spunto da quella dell'Impero Romano d'Oriente e dell'Impero Persiano a sua volta erede della gastronomia mesopotamica, tanto da essere considerata figlia. Influenzerà la cucina cortese europea, in particolare quella spagnolo-catalana ed italiana, dopo il 1000 d.C., come confermano i libri di cucina medievale pubblicati in Italia nel XIII secolo e quelli del XIV secolo in Spagna, Portogallo, Francia, Inghilterra e Germania. Agli Arabi è legittimamente attribuita l'importazione di riso, carciofo, zucchero, melanzana, spinaci e molte altre coltivazioni.

Continua con il: Capitolo II