ASS. CULTURALE NO-PROFIT LIBERO GUSTO

sabato 11 settembre 2010

La storia in tavola - Guida alla cultura gastronomica nei tempi




Capitolo IV

Le cucine regionali italiane

Il mangiatore di fagioli - Annibale Carracci
1580-1590; Galleria Colonna, Roma 
L'Italia, durante il periodo Barocco del '600, aveva perduto la visione unitaria che aveva caratterizzato tutto il periodo rinascimentale. Le aree regionali, alcune assoggettate dalle grandi potenze straniere, altre isolate da ogni traffico commerciale, svilupparono tipici caratteri inerenti alla cucina popolare. Proprio le cucine popolari, con le loro oltre 70.000 ricette a noi pervenute, mantennero viva la tradizione gastronomica di tutta l'Italia anche se tenuta ai margini e completamente ignorata dai ceti alti. La gastronomia delle corti e dell'aristocrazia tutta era dominata dallo stile francese, come testimoniano i libri di quel periodo, colmi di francesismi. Durante la fine del XVII secolo, le divisioni politiche e le situazioni culturali ed economiche portarono alcuni territori regionali a molti cambiamenti, discostandosi progressivamente per molti aspetti, da quello che era stato fino a quel momento lo stile francese.
Tra il '700 e '800, con l'arrivo dei nuovi prodotti alimentari dall'America, quali patate, mais, pomodori, cacao, fagioli, tacchino, cioccolato, e molti altri, si consolidano le caratteristiche delle diverse cucine regionali italiane.

La cucina borghese italiana
Frontespizio del libro di
Pellegrino Artusi
Una terza cucina nacque nel XIX secolo (1800), che si sviluppò in modo rapido, affiancando la gastronomia professionale francese e la complessa cucina popolare. Due trattati gastronomici dell'epoca furono immagine delle trasformazioni sociali: "Trattato di cucina e pasticceria moderna" del cuoco di Casa Savoia Giovanni Vialardi, nel quale si trovavano le linee guida per una ristorazione aristocratica; "La Scienza in cucina e l'arte del saper mangiare" di Pellegrino Artusi, nel quale era riprodotta la nuova cucina borghese.
Artusi, cuoco per passione, raccoglie le ricette di alcune regioni italiane, le ripropone alle signore della borghesia trionfante, dando inizio così all'unificazione della cucina italiana, che avrà termine solo alla fine del Novecento. La nuova tendenza borghese rifiuta sia la cucina rurale perché considerata troppo grassa, rozza, dai sapori troppo marcati e volgari perché espressa in linguaggio dialettale; sia quella aristocratica perché schiava delle forme, troppo costosa, amante dei prodotti esotici, sfarzosa nei servizi e addobbi e che continua a soffrire di esterofilia con l'uso di termini francesi.
La cucina borghese si rivela una sintesi di entrambe le cucine, poiché assorbe l'amore per i prodotti tipici, per i gusti genuini e i costi di quella contadina e alcune tecniche professionali, la delicatezza nelle preparazioni, le regole di buona educazione a tavola, l'inserimento nei menu dei formaggi e dessert di quella aristocratica. Secondo Artusi la cucina deve essere delicata, signorile e fine. S'iniziano a scrivere i libri e i menù in lingua italiana. Il Novecento vedrà i natali della nuova ristorazione italiana, basata su una forte identità nazionale e su approfondimenti regionali.

Continua...

 

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